Una strategia terapeutica tutta italiana ha cambiato la storia della leucemia più aggressiva, portando a tassi di remissione e sopravvivenza impensabili. Il "New England Journal of Medicine" dedica una review alla rivoluzione firmata GIMEMA e Sapienza.
C’è una storia, tutta italiana, che ha cambiato la medicina. Una storia che in 25 anni ha riscritto la prognosi della leucemia acuta linfoblastica Philadelphia-positiva (LAL Ph+), una delle forme più letali di tumore del sangue. A ripercorrerla è la prestigiosa rivista New England Journal of Medicine in un articolo pubblicato il 15 maggio 2025 e firmato da Robin Foà, professore emerito di Ematologia alla Sapienza Università di Roma.
“Nel nostro Paese ci sono tutte le possibilità per migliorare significativamente il trattamento e il decorso dei pazienti – dichiara Foà – ma è paradossale che, di fatto, non solo non possiamo trattare i pazienti con la strategia che ha portato a un cambio radicale nella prognosi della LAL-Ph+, ma nemmeno attivare un nuovo protocollo clinico, com’era nelle nostre intenzioni”.
Il punto di svolta: l’Italia e la terapia senza chemio
Tutto ebbe inizio nel 2000, quando il GIMEMA (Gruppo Italiano Malattie Ematologiche dell’Adulto) avviò il primo protocollo clinico in cui i pazienti anziani con LAL Ph+ venivano trattati senza chemioterapia, ma con una combinazione innovativa di imatinib (un inibitore della tirosina chinasi) e steroidi. I risultati furono sorprendenti: remissione completa per tutti.
Quello che sembrava un esperimento isolato è diventato il paradigma di una nuova era. Nei protocolli successivi sono stati utilizzati TKI di seconda e terza generazione, come dasatinib e ponatinib, sempre abbinati a uno steroide. La risposta? Un tasso di remissione tra il 94% e il 100%, con bassissima tossicità.
La svolta immunoterapica: blinatumomab e remissioni molecolari
La seconda grande innovazione arriva con l’aggiunta, in fase di consolidamento, del blinatumomab, un anticorpo monoclonale bispecifico capace di legare le cellule leucemiche e attivare una potente risposta immunitaria. Lo schema chemio-free, basato su dasatinib e steroide seguito da blinatumomab, ha portato a remissioni complete nel 98% dei casi e remissioni molecolari nell’80%, come riportato nel New England Journal of Medicine nel 2020.
A un follow-up di quasi cinque anni, pubblicato sul Journal of Clinical Oncology nel dicembre 2023, i tassi di sopravvivenza complessiva hanno raggiunto il 75-80%, un risultato storico. E per la prima volta, il 50% dei pazienti è stato trattato senza chemio né trapianto.
La ricerca continua: protocollo con ponatinib e blinatumomab
L’ultimo tassello è rappresentato dal nuovo protocollo GIMEMA, che prevede la combinazione di ponatinib e blinatumomab. I primi dati, presentati nel 2024 al Congresso dell’ASH, sono promettenti. Il protocollo ha chiuso l’arruolamento a gennaio 2025 e potrebbe rappresentare una nuova frontiera per i pazienti.
Ostacoli all’applicazione clinica
Nonostante i risultati straordinari, persiste un divario tra la “strategia raccomandata” e la “strategia reale”. La review di Foà denuncia l’impossibilità, in molti centri italiani, di offrire ai pazienti la migliore terapia di prima linea. Mancano risorse, autorizzazioni, protocolli aggiornati. È un paradosso: l’Italia che guida la ricerca, non riesce ad applicarla pienamente.
Una lezione globale dalla ricerca italiana
L’esperienza italiana dimostra che si può curare la leucemia linfoblastica Philadelphia-positiva senza chemio, con minori effetti collaterali, remissioni profonde e prospettive di guarigione. È una rivoluzione terapeutica che ha ridefinito i confini della medicina ematologica.
Non è solo una questione di protocolli clinici. È una sfida etica e politica: garantire a tutti l’accesso a cure efficaci, sicure, e già validate scientificamente.
Redazione