L’Istituto Superiore di Sanità lancia l’allarme: urgente potenziare la preparazione degli operatori sanitari per assistere adeguatamente le donne che hanno subito mutilazioni genitali femminili
di Sofia Diletta Rodinò
In Italia vivono attualmente più di 80.000 donne e ragazze che hanno subito mutilazioni genitali femminili (MGF). A lanciare l’allarme è l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), che in occasione della presentazione del nuovo documento tecnico rivolto agli operatori sanitari, ha sottolineato la necessità di rafforzare la formazione e la sensibilizzazione del personale medico e ostetrico.
Il fenomeno, sebbene non autoctono, coinvolge in modo crescente anche il nostro Paese per effetto dei flussi migratori da aree dove le MGF sono culturalmente radicate. Le donne vittime di questa pratica disumana arrivano principalmente da Paesi dell’Africa sub-sahariana, ma anche dal Medio Oriente e da alcune regioni dell’Asia, dove le mutilazioni vengono ancora oggi praticate in nome di tradizioni religiose o sociali, prive però di qualsiasi fondamento medico.
“È importante che i professionisti della salute siano preparati non solo a riconoscere le conseguenze fisiche delle MGF, ma anche ad affrontare con competenza e rispetto i traumi psicologici che queste donne possono portare con sé”, afferma il gruppo di lavoro ISS.
Un documento per aiutare medici e ostetriche ad assistere le vittime
Il nuovo strumento elaborato dall’ISS si rivolge in particolare a medici, ostetriche, psicologi, infermieri e operatori socio-sanitari, proponendo un approccio integrato e interculturale all’assistenza. L’obiettivo è favorire un dialogo empatico e privo di giudizio, che metta al centro la dignità e la salute delle donne, e aiuti a superare barriere linguistiche e culturali.
Le mutilazioni genitali femminili sono considerate a livello internazionale una grave violazione dei diritti umani, oltre che una pratica dannosa che può comportare gravi complicanze fisiche e psicologiche: dolore cronico, infezioni, infertilità, problemi sessuali e durante il parto, fino a disturbi post-traumatici da stress.
Secondo l’OMS, si stima che più di 200 milioni di donne nel mondo abbiano subito una forma di mutilazione genitale. La pratica, ancora molto diffusa, è spesso condotta su bambine tra i 4 e i 14 anni, e in molti casi avviene in condizioni igieniche precarie, senza alcuna assistenza sanitaria.
Italia: priorità è formare chi lavora sul campo
La Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle MGF, promossa in sinergia tra il Ministero della Salute e l’ISS, punta ora su percorsi formativi obbligatori per il personale medico, ma anche su campagne di informazione rivolte alle comunità migranti.
Secondo l’UNFPA e UNICEF, le mutilazioni genitali femminili possono essere eliminate nel giro di una generazione, ma per farlo è necessario agire a livello educativo, sanitario e culturale, con il coinvolgimento diretto delle comunità di origine e dei sistemi sanitari dei Paesi ospitanti.
L’ISS, in tal senso, rappresenta un punto di riferimento nazionale per l’elaborazione di linee guida, modelli formativi e protocolli operativi che possano essere adottati in tutte le Regioni.