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SSN, più medici e infermieri ma il futuro è incerto: il Rapporto Agenas fotografa le sfide

 
SSN, più medici e infermieri ma il futuro è incerto: il Rapporto Agenas fotografa le sfide
Redazione

In Italia crescono i professionisti della salute, ma l’età media elevata e i pensionamenti imminenti rischiano di svuotare ospedali e territorio. Agenas lancia l’allarme: servono programmazione, attrattività e nuove politiche per non compromettere il Servizio sanitario nazionale.

Dopo anni di contrazione, il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) torna a crescere in termini di personale. Il Rapporto Agenas 2023 certifica un’inversione di tendenza con un incremento importante di medici, infermieri e operatori socio-sanitari. Ma dietro la buona notizia si nasconde una realtà più complessa: età media elevata, squilibri tra professioni, differenze regionali e un’ondata di pensionamenti che nei prossimi dieci anni rischia di indebolire la tenuta del sistema.

Un recupero numerico che non basta

Nel 2023 il personale dipendente del SSN ha raggiunto le 701.170 unità, con un aumento di oltre 51.600 professionistirispetto al 2019 (+7,95%). Un dato significativo, che interrompe un quinquennio di calo e stabilità. La composizione resta a prevalenza femminile: 69% donne, contro il 31% di uomini.

Tuttavia, la distribuzione tra le diverse professioni e tra le aree del Paese resta disomogenea, con alcune figure in crescita e altre in costante diminuzione.

Medici: tanti, ma sempre più anziani

L’Italia continua a presentare un numero di medici superiore alla media europea: 5,3 ogni 1.000 abitanti, contro i 4,07 della media UE. Ma quasi il 44% dei medici ha più di 55 anni, e oltre un quinto ha già superato i 65.

Nel 2023 i camici bianchi dipendenti del SSN erano 109.024, in lieve aumento rispetto al 2019. Ma il quadro regionale è molto variegato: Lazio, Emilia-Romagna e Toscana registrano incrementi, mentre in Molise, Basilicata, Valle d’Aosta e Calabria si segnalano cali.

La vera emergenza riguarda il futuro: tra il 2026 e il 2038 circa 39.000 medici raggiungeranno l’età pensionabile, con un picco di oltre 3.200 uscite annue nel quadriennio 2029-2033.

Anche la medicina territoriale è in sofferenza: in dieci anni i medici di base sono scesi da oltre 45.000 a circa 38.000, con una perdita netta di oltre 7.200 unità, mentre i pediatri sono diminuiti di circa 1.000. Conseguenza: sempre più cittadini senza un medico di riferimento o costretti a lunghe attese.

Infermieri: la vera emergenza strutturale

Sul fronte infermieristico la crescita non basta a colmare il fabbisogno. Nel 2023 erano 277.138, circa 8.800 in più rispetto al 2019. Ma il rapporto con la popolazione resta insufficiente: 6,86 infermieri per 1.000 abitanti, contro la media europea di 8,26.

Il rapporto infermieri/medici in Italia è pari a 1,3, ben al di sotto della media OCSE di 2,1. Questo squilibrio penalizza la qualità dell’assistenza, aumentando i carichi di lavoro e il rischio di burnout.

In prospettiva, la situazione è ancora più preoccupante: entro il 2035 circa 78.000 infermieri andranno in pensione. Le nuove leve non bastano: nel 2024 le domande di iscrizione ai corsi di laurea si sono quasi pareggiate con i posti disponibili, segnalando un calo di attrattività della professione. Le proiezioni stimano tra 73.000 e 86.000 nuovi laureati al 2029, insufficienti a coprire le uscite previste.

OSS: crescita disomogenea

Gli operatori socio-sanitari (OSS) sono la categoria che ha registrato la crescita più significativa: nel 2023 erano 75.978, oltre 20.000 in più rispetto al 2019 e più che raddoppiati rispetto al 2013.

La media nazionale è di 1,3 OSS ogni 1.000 abitanti, ma con enormi differenze: dal 3,1 del Friuli-Venezia Giulia allo 0,3 del Lazio. Anche in questo caso, l’invecchiamento è un fattore critico: oltre 26.000 operatori potrebbero uscire dal servizio entro il 2035.

Formazione: progressi e criticità

Dal 2014 al 2025 i posti disponibili per il corso di laurea in Medicina sono più che raddoppiati, passando da 10.656 a oltre 24.000. Le borse di specializzazione sono cresciute da 5.000 a oltre 15.000. Tuttavia, molte discipline cruciali restano poco attrattive: emergenza-urgenza, anestesia, rianimazione, radioterapia, microbiologia registrano ancora numerose borse scoperte.

Questo squilibrio mette a rischio la capacità del SSN di coprire bisogni sanitari complessi e strategici.

Le criticità strutturali

Il Rapporto Agenas evidenzia diversi nodi che, se non affrontati, rischiano di trasformarsi in una vera emergenza nazionale:

  • Squilibri tra professioni: troppi medici rispetto agli infermieri, OSS distribuiti in modo irregolare.

  • Pensionamenti massicci: oltre 140.000 operatori sanitari potrebbero lasciare il servizio entro il 2035.

  • Ridotta attrattività: corsi infermieristici meno richiesti e specializzazioni cruciali poco scelte dai giovani.

  • Disparità territoriali: Nord e Centro reggono meglio, Sud e aree interne restano fragili.

  • Calo dei medici di base: con effetti gravi sull’assistenza territoriale.

Le proposte per il futuro

Agenas sottolinea che il personale è il vero capitale del SSN. Per garantire la sostenibilità del sistema, servono misure urgenti:

  • una programmazione nazionale e regionale che definisca fabbisogni e distribuzione equilibrata;

  • politiche di attrattività e valorizzazione, con incentivi economici, riconoscimento sociale e percorsi di carriera chiari;

  • incentivi mirati per le specializzazioni più critiche;

  • un rafforzamento della sanità territoriale, con il recupero dei medici di base;

  • politiche di ritenzione del personale anziano, con formule flessibili che rallentino le uscite;

  • un monitoraggio costante per adattare la pianificazione ai cambiamenti demografici e sanitari.

Il Rapporto Agenas 2023 consegna un’immagine complessa: il SSN è in fase di recupero numerico, ma rischia di non reggere l’urto dei prossimi anni senza una pianificazione attenta. Il futuro della sanità italiana dipenderà dalla capacità di rendere attrattive le professioni sanitarie, di colmare le disuguaglianze territoriali e di programmare le risorse umane con lungimiranza.

Se nulla cambierà, il sistema rischia di trovarsi con più pazienti e meno operatori, proprio quando l’invecchiamento della popolazione e le cronicità faranno crescere ulteriormente la domanda di cure.