A quasi trent'anni dal suo arrivo nelle sale cinematografiche, ''The Truman Show'' sembra di nuovo inquietante e sorprendentemente preveggente. La commedia distopica di Peter Weir, con un immenso Jim Carrey nei panni dell'inconsapevole protagonista di un reality, assume nuova risonanza nell'era tecno-capitalista.
The Truman Show: come il Grande Fratello, prima del Grande Fratello
Apparentemente una satira oscura sul voyeurismo e le inesauribili manipolazioni dei media, ''The Truman Show'' ha preceduto il colosso televisivo del Grande Fratello di un solo anno, ed è difficile non vedere qualcosa di causale in questo. Entrambi riguardano la sorveglianza e la linea torbida che separa la realtà dall'intrattenimento, con telecamere nascoste che osservano ogni mossa dei partecipanti. La differenza fondamentale – quella che dà al film una tale potenza morale – è che Truman non sa di essere in TV, non immagina nemmeno che tutto ciò che lo circonda è costruito, persino gli affetti e le persone.
Il film segue Truman Burbank, un venditore di assicurazioni la cui intera vita si svolge non sull'isola di Seahaven come crede, ma su un elaborato set cinematografico, il più grande mai concepito e realizzato al mondo, dove persino il cielo e il mare sono posticci, per non parlare del sole e della luna. La sua famiglia, tra cui la sua vivace moglie, Meryl (Laura Linney), il migliore amico, Marlon (Noah Emmerich) e persino sua madre (Holland Taylor), sono attori pagati che cercano disperatamente di mantenere viva l'illusione e lo spettacolo in onda. A tirare le fila è il Dio Christof (Ed Harris, anch'egli ai massimi della sua grande caratura attoriale), che dirige lo spettacolo dalla "luna".
Dalle prime battute del film, Truman mostra plasticamente l'insoddisfazione di una vita che è sempre eguale a sé stessa e, quindi, quando la sceneggiatura gli fa incrociare un personaggio originariamente secondario, Sylvia (Natascha McElhone), egli se ne innamora, coltivando questo sentimento anche quando la ragazza sparisce (più esattamente, viene fatta sparire). Piccoli indizi durante le sue giornate insinuano nella mente di Truman il sospetto e lui, quasi inconsciamente, cerca di uscire dalla gabbia fittizia che gli è stata calata attorno. E quando le sue certezze vacillano, Christof gli invia l'arma più letale del suo arsenale: il migliore amico. È in questa scena centrale che Peter Weir mostra la sua mano allegorica. Marlon placa Truman con l'innegabile richiamo della fraternità: "Pensaci, Truman. Se tutti fossero coinvolti, dovrei esserlo anch'io".
Carrey è sublime e possiamo essere grati a Weir di avere aspettato un anno intero in pre-produzione per assicurarselo. Il suo sorriso sdolcinato e il suo "buon pomeriggio, buona sera e buona notte" evocano l'ottimismo dell'America media degli anni '50, ed è così perfettamente in sincronia con il mondo simulato che lo circonda che il suo dubbio e la sua determinazione una volta che il velo cade sembrano quasi rivoluzionari.