Gli statunitensi pagano i farmaci molto di più che in altri Paesi, per uno dei tanti settori in cui l'economia americana mostra degli evidenti disallineamenti con altre nazioni dell'Occidente industrializzato
di Diego Minuti
Un problema al quale il presidente Trump sta cercando di porre rimedio, annunciando un taglio dei prezzi dei farmaci in USA. Iniziativa degna di menzione e che, mediaticamente, ha anche avuto una vasta eco, ma che forse non avrà cammino facile per raggiungere i suoi obiettivi. Lo strumento usato dal presidente è quello che ormai caratterizza le sue politiche: un ordine esecutivo, dai contenuti anche bruschi, con il quale ha ordinato, alle agenzie federali che si occupano, direttamente o meno, del problema, di rinnovare la cosiddetta politica della ''nazione più favorita'', mirando a vincolare i prezzi di alcuni farmaci negli Stati Uniti a quelli esteri significativamente più bassi, per quella che Trump ha definito una ''parificazione'' dei prezzi.
Ma dopo l'annuncio non sono seguiti gli elementi necessari a capire quello che alla gente comune interessa veramente: quanto scenderanno i prezzi, quanto la politica inciderà sui pazienti e sulle case farmaceutiche, quali medicinali saranno interessati e se Trump riuscirà davvero a mettere in pratica la sua ''rivoluzione''. L'obiettivo dell'Amministrazione Trump è abbastanza ambizioso, anche se non è stato ufficializzato quali farmaci saranno interessati. Pur sostenendo che il piano avrà un impatto sul mercato commerciale e sui programmi pubblici Medicare e Medicaid, relativi alle prestazioni assicurative sanitarie.
L'impatto sulle case farmaceutiche (già in guerra)
Il problema è ormai datato e non è certo Trump il primo a cercare di risolverlo: i prezzi dei farmaci da prescrizione negli Stati Uniti sono in media da due a tre volte superiori a quelli di altre nazioni sviluppate e fino a 10 volte superiori rispetto ad alcuni Paesi, secondo la Rand Corporation, un think tank di politica pubblica. Trump, come sempre dalla dialettica senza freni, ha detto che la sua ordinanza contribuirà a ridurre i prezzi dei farmaci tra il 59% e l′80%, o ''credo persino del 90%''. Percentuali che hanno creato non poche perplessità negli esperti del settore, così come negli analisti, anche perché non tiene in alcun conto l'impatto che avrà sui profitti delle case farmaceutiche (già sul piede di guerra).
Il mercato, sempre molto sensibile agli annunci, non sembra avere drammatizzato più di tanto i possibili effetti della nuova politica di Trump. Tanto che, nella seduta borsistica successiva all'annuncio, i titoli delle principali case farmaceutiche hanno registrato aumenti tra il 7% (Gilead) e il 2% (Eli Lilly).
Il parere degli analisti finanziari
A dare voce alle perplessità sono stati gli analisti finanziari, a cominciare da quelli di JPMorgan, che hanno bollato la politica come ''difficile da attuare concretamente'' perché richiederebbe probabilmente l’approvazione del Congresso e potrebbe incorrere in azioni legali da parte delle case farmaceutiche. ''La strada da percorrere potrebbe essere fangosa'', hanno scritto gli analisti in una nota, concordando con altri esperti che hanno sottolineato come sia a dir poco difficile convincere le aziende farmaceutiche ad abbassare volontariamente i prezzi.
L’ordine di Trump prende di mira in parte altri Paesi, molti dei quali hanno sistemi sanitari a pagatore unico (i vari servizi sanitari nazionali), quindi con maggiore potere decisionale per negoziare la riduzione dei prezzi dei farmaci con i produttori. Al contrario, gli Stati Uniti hanno un mosaico di assicurazioni pubbliche e private e si affidano in parte agli intermediari per stabilire i prezzi, che possono quindi variare a seconda del peso contrattuale dei singoli soggetti. Secondo gli analisti di JPMorgan, l’industria farmaceutica probabilmente vorrebbe vedere aumenti di prezzo nei Paesi dell’Unione Europea prima di abbassare volontariamente i prezzi dei farmaci negli Stati Uniti. Questo rende improbabile l’attuazione di altri elementi dell’ordine esecutivo.
Ci vorrà molto tempo prima che si raggiunga un accordo tra Governo e aziende farmaceutiche
A mettersi per traverso lungo il cammino che Trump ha tracciato ci saranno anche i certamente difficili negoziati con le aziende farmaceutiche, che ben difficilmente accetteranno di sottostare o, peggio, subire gli ultimatum della Casa Bianca. Come sostiene Gerard Anderson, professore di politica e gestione sanitaria presso la Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health, secondo il quale probabilmente ci vorrà molto più tempo prima che il governo e le case farmaceutiche raggiungano un accordo sul prezzo. ''Perché mai un’azienda farmaceutica dovrebbe abbassare volontariamente i prezzi?'', si è chiesto Anderson osservando che l’ordine esecutivo non fornisce dettagli sulle azioni specifiche che l’Amministrazione potrebbe intraprendere contro le case farmaceutiche che non sono d’accordo. Quindi anche gli incentivi non sono chiari.
Provvedimenti anche contro le ''azioni anticoncorrenziali''
Mentre sono chiare le pressioni, a leggere la posizione del Dipartimento di Giustizia e della Commissione Federale per il Commercio che annunciano provvedimenti anche contro le ''azioni anticoncorrenziali'' che mantengono alti i prezzi negli Stati Uniti. Dalla Casa Bianca fanno sapere l’amministrazione si concentrerà in particolare sui farmaci che presentano ''le maggiori disparità e le maggiori spese'', tra cui potrebbero rientrare i popolari trattamenti per la perdita di peso e il diabete chiamati farmaci GLP-1.
Ma la ''crociata'' del presidente raccoglie consensi non tra gli esperti, ma tra la gente comune. Di cui s'è fatta portavoce l'associazione che rappresenta i pensionati americani, dicendosi entusiasta ''di qualsiasi tentativo di contribuire ad abbassare i prezzi dei farmaci da prescrizione''.
L’industria farmaceutica ha sostenuto che una politica di ''nazione più favorita'' danneggerebbe i suoi profitti e la sua capacità di ricercare e sviluppare nuovi farmaci. La scorsa settimana, PhRMA (Pharmaceutical Research and Manufacturers of America) ha persino stimato che la proposta di Trump – se applicata specificamente al programma Medicaid – potrebbe costare alle case farmaceutiche fino a 1.000 miliardi di dollari in un decennio.