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Prostatectomia e diritti negati: in Italia mancano nei LEA le protesi che ridanno vita sessuale e autonomia agli uomini

 
Prostatectomia e diritti negati: in Italia mancano nei LEA le protesi che ridanno vita sessuale e autonomia agli uomini
Redazione

Tumore alla prostata, la denuncia degli andrologi: “Dopo l’intervento gli uomini restano soli, nessuna tutela dal SSN”.

Novembre, mese dedicato alla prevenzione delle malattie maschili, si è chiuso lasciando dietro di sé un grande rimosso: la salute sessuale e funzionale degli uomini operati di tumore alla prostata. Un silenzio che pesa, soprattutto se si considera che la prostatectomia è uno degli interventi più frequenti al mondo e che le sue complicanze possono cambiare radicalmente la vita di un individuo.

La denuncia arriva forte e chiara da Aldo Franco De Rose, urologo, andrologo e Presidente dell’Associazione Andrologi Italiani (ASSAI).

Dopo l’intervento alla prostata, chi diventa impotente grave o soffre di incontinenza urinaria severa non esiste per il Sistema Sanitario: è costretto a vivere nel disagio, tra 6-8 pannoloni al giorno e l’impossibilità di avere una vita sessuale”, afferma De Rose.

Il punto critico, sottolinea il presidente ASSAI, è che le soluzioni terapeutiche che risolvono queste complicanze non sono inserite nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA).

In altre parole: nonostante esistano protesi peniene e sfinteri urinari artificiali altamente efficaci, il SSN non le rimborsa, lasciando i pazienti soli di fronte a costi elevati e alla scelta difficile tra sofferenza quotidiana e interventi fuori tasca.

Le protesi non sono nei LEA, e gli uomini restano senza tutele

La mancata inclusione nei LEA di questi dispositivi – spiega De Rose – rappresenta una lacuna che ormai assume i contorni di un problema sociale, dati i numeri in crescita riguardanti i tumori alla prostata e le relative complicanze.

Secondo Agenas, nel 2024 sono stati diagnosticati 40.192 nuovi casi di carcinoma prostatico, confermando la malattia come la più frequente negli uomini over 50.

Più di 21.000 pazienti sono stati sottoposti a prostatectomia, un intervento salvavita che però comporta rischi significativi: disfunzione erettile e incontinenza urinaria possono compromettere profondamente la qualità della vita.

Protesi peniene: l’unica soluzione nei casi più gravi

La disfunzione erettile post-prostatectomia viene inizialmente trattata con farmaci, somministrati per bocca o tramite iniezioni locali. Ma nel 20-30% dei casi questi trattamenti falliscono.

Per questi uomini, la protesi peniena – soprattutto nella sua versione idraulica tri-componente – rappresenta l’unico strumento in grado di ripristinare una funzione sessuale soddisfacente.

L’erezione ottenuta è del tutto simile a quella fisiologica, e la sensibilità del pene resta invariata.

L’impianto è invisibile dall’esterno, elemento essenziale per la dignità e l’accettazione del paziente.

Sfinteri urinari artificiali: autonomia e qualità di vita

L’altra grande problematica è l’incontinenza urinaria, che può persistere nel tempo nel 5-10% dei pazienti operati.

In questi casi, lo sfintere urinario artificiale (SUA) è la soluzione più efficace per controllare quasi totalmente le perdite, superando la dipendenza quotidiana dai pannoloni, ancora oggi la risposta più comune ma non certo la migliore.

Non solo: gli sfinteri e le protesi, sottolinea ASSAI, comporterebbero risparmi per il SSN, riducendo l’uso di presidi assorbenti e migliorando radicalmente la qualità della vita dei pazienti.

Una disparità di genere evidente

Nella denuncia di De Rose emerge anche un tema di equità sanitaria.

Le donne operate di tumore al seno hanno diritto a percorsi dedicati nelle Breast Units, dove la ricostruzione mammaria è garantita e tutelata.

Gli uomini, invece, dopo un intervento che coinvolge la loro sfera più intima, restano senza un percorso analogo e senza accesso libero ai dispositivi che potrebbero restituire loro una vita sessuale, relazionale e sociale dignitosa.

Le protesi peniene e gli sfinteri artificiali non sono un vezzo, ma una necessità”, conclude De Rose. Necessità che oggi, nel nostro Paese, rimangono fuori dai livelli minimi garantiti dalla sanità pubblica.