Nel tempo delle relazioni liquide e dei legami usa e getta, il Dicastero per la Dottrina della Fede rilancia la sfida dell’amore stabile: la monogamia come scelta radicale di libertà e di umanità.
C’è un paradosso che attraversa il nostro tempo: più si celebra la libertà assoluta, più si smarrisce il senso del desiderio. Viviamo immersi in un mercato dell’“illimitato”, dove tutto si può cambiare, aggiornare, sostituire. Perfino l’intimità. Perfino il corpo.
Eppure, proprio oggi, il Dicastero della Dottrina della fede pubblica una nota dottrinale sul valore del matrimonio dal titolo “Una caro. Elogio della monogamia”, un testo che sembra fuori tempo massimo e invece tocca il nervo scoperto della modernità: la fatica di amare nel tempo lungo.
La tesi del documento è sorprendente e, per molti, destabilizzante: la monogamia non è un residuo del passato, ma una scelta radicale di umanità. Non un vincolo imposto, non una nostalgia morale, ma un gesto controcorrente che osa dire che il sesso non è consumo, non è intrattenimento, non è un algoritmo del piacere: è promessa, identità, appartenenza.
La proposta ribalta lo schema dominante.
Mentre molte letture sociologiche raccontano la dissoluzione dei legami, Una caro sostiene che proprio l’esclusività sessuale e affettiva non è un limite, ma una risorsa che genera profondità, fiducia e continuità.
E sì, perfino ricchezza sociale.
In un mondo che ci vuole fluidi, veloci, leggeri, la monogamia appare come un gesto pesante, quasi provocatorio. Ma ogni costruzione vera richiede peso, responsabilità, stabilità.
Ed è qui che la Nota introduce l’elemento più inatteso: il matrimonio non cancella le fragilità umane, le assume.
L’indissolubilità non è il trionfo dei perfetti, ma lo spazio in cui due vulnerabilità imparano a sostenersi.
La promessa non è garantita: è rischiosa. È umana. È reale.
Si apre così uno scenario inatteso: e se la fragilità dei legami contemporanei avesse effetti diretti sul sistema economico?
Se la difficoltà a rimanere in una relazione matrimoniale corrode la capacità di investire e progettare?
Molti economisti, da Becker a Putnam, hanno mostrato che le famiglie stabili producono ciò che nessun mercato può generare da solo: capitale relazionale, cooperazione, coraggio intertemporale.
Senza questi beni invisibili, cresce il costo dell’incertezza.
E una società incerta è, inevitabilmente, una società più povera.
C’è poi una domanda scomoda, che Una caro lascia volutamente aperta: siamo ancora capaci di scegliere una sola persona, in un tempo che ci educa a non scegliere nulla per sempre?
La tecnologia amplifica il desiderio e svuota l’incontro.
Crea connessioni infinite e relazioni fragili.
L’algoritmo suggerisce alternative continue, costruendo l’illusione che tutto sia sostituibile.
La monogamia diventa così un atto di audacia: l’irripetibilità della persona!
Il documento non è nostalgico.
Non rimpiange un passato “ordinato” con le sue derive patriarcali e maschiliste.
Al contrario, scommette su un futuro più umano.
Forse la prossima rivoluzione non sarà digitale, ma relazionale.
Non nascerà da un nuovo dispositivo, ma dal coraggio antico e nuovo di dire “sì” senza lasciare aperte le uscite di emergenza.
Perché, in fondo, la Chiesa osa una tesi ancora più provocatoria: il matrimonio è, nonostante tutto, la forma privilegiata in cui l’amore divino si rende visibile nell’amore umano.
In quella reciprocità di dono esclusivo degli sposi, l’amore unitivo carnale diventa riflesso dell’unità assoluta della Trinità.
L’idea di perfezione e la paura del fallimento – fantasmi dell’uomo moderno – devono essere sostituite dalla forza trasformante dell’amore coniugale ove la fragilità si trasfigura in fedeltà.
E allora la domanda finale, la più inquietante, resta lì, sospesa sia per i credenti e i non credenti: nel mondo delle infinite ed effimere possibilità, siamo ancora capaci di scegliere la profondità del tempo?
*Sacerdote della diocesi di Albano