• Non è solo luce e gas, è l'energia di casa tua.
  • Un museo. Quattro Sedi. IntesaSanPaolo
  • La piattaforma di wealth planning
  • Italpress Agenzia di stampa

Sigari cubani prodotti con lavoro forzato: Tabacuba e Habanos S.A. ammettono l’utilizzo di detenuti

 
Sigari cubani prodotti con lavoro forzato: Tabacuba e Habanos S.A. ammettono l’utilizzo di detenuti
Redazione

Prisoners Defenders: “Un riconoscimento che conferma la schiavitù moderna nelle prigioni di Cuba”

Per la prima volta, il regime cubano ha ammesso pubblicamente una pratica a lungo denunciata dalle organizzazioni internazionali: l’uso del lavoro carcerario nella produzione di sigari destinati all’esportazione. La conferma arriva da Habanos S.A., società mista che gestisce il commercio mondiale dei sigari cubani, in una dichiarazione inviata al giornale specializzato Halfwheel.

Il comunicato ufficiale ribadisce quanto documentato da Prisoners Defenders nel suo rapporto del 15 settembre scorso: esistono fabbriche di tabacco all’interno delle prigioni cubane e i detenuti – compresi prigionieri politici – sono costretti a lavorare in cambio di “benefici penitenziari” e non di un salario.

Ammissione ufficiale: sigari prodotti nelle carceri

Nella sua dichiarazione, Habanos S.A. ha confermato che l’azienda statale Tabacuba ha riconosciuto l’esistenza di strutture penitenziarie con capacità produttiva dedicate alla fabbricazione di sigari. Un dato che smentisce le smentite ufficiali degli anni passati e rende pubblica la destinazione commerciale dei prodotti, compresa l’esportazione internazionale.

Secondo Prisoners Defenders, i sigari vengono fabbricati in varie prigioni, tra cui Aguacate (Quivicán), Guamajal (Villa Clara), Cuba Sí (Holguín), El Pre de Angola (Artemisa), Combinado del Este (L’Avana) e Boniato (Santiago de Cuba).

Benefici al posto del salario: una forma di coercizione

Il comunicato non fa alcun riferimento a compensi economici. I detenuti lavorano in cambio di permessi speciali: telefonate ai familiari, visite o trasferimenti in carceri meno dure. Chi si rifiuta, invece, rischia la punizione con la reclusione in carceri di massima sicurezza.

Questa pratica, definita da Prisoners Defenders come “schiavitù moderna”, viola la Convenzione 29 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e le Regole Mandela delle Nazioni Unite, che impongono che il lavoro penitenziario sia volontario, sicuro, retribuito e non sfruttato da interessi privati.

Violazioni del diritto internazionale

Il riconoscimento di Tabacuba e Habanos S.A. conferma una pratica strutturale, istituzionalizzata e regolare nel sistema penitenziario cubano, non un caso isolato. Si tratta di una violazione multipla di:

  • Convenzione 29 OIL (ratificata da Cuba), che vieta il lavoro forzato in assenza di consenso libero.

  • Regole Mandela ONU, che proibiscono lo sfruttamento del lavoro penitenziario a fini di lucro.

  • Patto internazionale sui diritti civili e politici (art. 8), che vieta il lavoro coatto.

  • Principi guida ONU su imprese e diritti umani, che obbligano le aziende a evitare complicità in violazioni dei diritti umani.

Le conseguenze internazionali

Prisoners Defenders sottolinea che questa confessione “smonta qualsiasi tentativo negazionista del regime” e chiama in causa gli attori internazionali.

L’organizzazione chiede:

  • Agli importatori e distributori di sigari cubani di attivare controlli indipendenti e sospendere gli acquisti in caso di rischio di lavoro forzato.

  • Alle autorità doganali dell’UE di avviare indagini sulle importazioni, applicando il regolamento europeo 2023 sui prodotti legati al lavoro forzato.

  • Alle agenzie ONU (OIL, OHCHR) e agli organismi regionali di rafforzare il monitoraggio.

  • Alle aziende della filiera del tabacco di assumersi la responsabilità etica e legale, evitando la complicità con crimini internazionali.

Per la prima volta Cuba riconosce apertamente che i sigari prodotti nelle carceri finiscono sul mercato internazionale. Un’ammissione che non solo conferma le denunce, ma chiama in causa la comunità internazionale e i mercati che commercializzano questi prodotti, rivelando un sistema di coercizione istituzionalizzata che trasforma il lavoro penitenziario in una fonte di profitto.