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L’effetto Mandela: alcuni interrogativi sulla memoria collettiva

 
L’effetto Mandela: alcuni interrogativi sulla memoria collettiva
Redazione

Può una massa di persone ricordare qualcosa che non è mai accaduto? Sì, e il fenomeno ha un nome: effetto Mandela. Nato nel 2009 da un’osservazione della ricercatrice Fiona Broome, il termine descrive la tendenza collettiva a costruire falsi ricordi condivisi. Un errore individuale può passare inosservato; un errore collettivo, invece, solleva interrogativi più profondi.

L’effetto Mandela: alcuni interrogativi sulla memoria collettiva

L’effetto Mandela mette in discussione la fedeltà del ricordo, un tema centrale in numerose opere di narrativa e cinema. In Matrix (1999), ciò che viene percepito come “realtà” è in realtà un’illusione condivisa. In 1984 di George Orwell, la verità storica viene costantemente riscritta: “Chi controlla il passato, controlla il futuro”.

La serie X-Files ha spesso esplorato questi territori, tra cospirazioni governative e manipolazione della percezione. Anche in film di successo come Ipotesi di complotto (1997) e A Beautiful Mind (2001) i protagonisti vivono in un mondo dove ogni dettaglio può essere alterato da forze invisibili, richiamando la fragilità del confine tra il reale e l’immaginato, l’oggettivo e il soggettivo. La scienza ha una spiegazione più concreta.

L’effetto Mandela è il risultato di falsi ricordi (false memories), fenomeno studiato da psicologi cognitivi e neuroscienziati. La memoria non funziona come un hard disk: è ricostruttiva, non registrativa. Quando richiamiamo un ricordo, il cervello riassembla le informazioni ogni volta, potenzialmente modificandole. Fattori come bias cognitivi, contagio sociale, e suggerimenti impliciti influenzano fortemente ciò che crediamo di ricordare. L’esperimento di Loftus e Palmer (1974), in cui il verbo usato per descrivere un incidente (“sbattuto” vs “scontrato”) alterava il ricordo dei partecipanti, è un classico esempio.

A livello neurologico, strutture come l’ippocampo e la corteccia prefrontale sono coinvolte nell’immagazzinamento e nel recupero della memoria. Quando queste aree subiscono stress, fatica o interferenze, aumenta il rischio di ricordi distorti. L’effetto Mandela si incrocia anche con il mondo delle leggende metropolitane, dove storie mai verificate si trasmettono come verità.

Da qui il legame con teorie del complotto, che trovano terreno fertile in una memoria collettiva fragile e suggestionabile. Con l’avvento dell’intelligenza artificiale generativa e dei deepfake, il rischio di memoria distorta si amplifica ancor più che nell’era di Internet, perciò occorre più che analizzare attentamente le fonti, incrociarle e verificarne le informazioni, rimanendo come equilibristi sul filo tra realtà e virtuale.