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Fine vita: emendamenti più restrittivi e Ssn escluso. Crescono dubbi su diritti e disparità

 
Fine vita: emendamenti più restrittivi e Ssn escluso. Crescono dubbi su diritti e disparità
Redazione

Una procedura lunga, centralizzata e senza il coinvolgimento del Servizio sanitario nazionale: ecco cosa prevedono i nuovi emendamenti sul fine vita, che rischiano di trasformare il percorso in un ostacolo insormontabile per pazienti e famiglie.

Il dibattito sul fine vita in Italia entra in una fase cruciale, ma la direzione scelta dal legislatore appare tutt’altro che inclusiva. Gli emendamenti presentati dai relatori delle Commissioni riunite Giustizia e Sanità al Senato introducono vincoli severissimi, confermando un approccio che sembra più orientato a limitare che a regolamentare l’accesso al suicidio medicalmente assistito.

Nessun diritto, solo eccezione

Il cuore della proposta è chiaro: «In nessun caso la legge riconosce alla persona il diritto a ottenere aiuto a morire».

Una formula che ribalta la prospettiva aperta dalla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale, la quale aveva stabilito i casi di non punibilità per chi agevola la scelta di un malato irreversibile e sofferente. Non si parla dunque di diritto individuale, ma solo di eccezioni regolamentate e subordinate a procedure complesse.

Condizioni rigidissime

Gli emendamenti fissano criteri ancora più stringenti: l’accesso è riservato solo a pazienti maggiorenni, lucidi, inseriti in un percorso di cure palliative, affetti da patologie irreversibili e mantenuti in vita da trattamenti sostitutivi di funzioni vitali. Inoltre, la sofferenza deve essere «incoercibile», una nuova definizione che rischia di restringere ulteriormente i casi ammissibili.

Un percorso a ostacoli

La valutazione non sarà affidata ai medici curanti, ma a un Centro di coordinamento nazionale dei comitati etici, un organo multidisciplinare con giuristi, bioeticisti e specialisti di diverse aree. 

I tempi? Lunghi e senza termini vincolanti: fino a 150 giorni solo per ottenere un parere, con la possibilità di ulteriori proroghe. Nessun automatismo, nessun silenzio-assenso: il paziente resta in attesa, mentre la sua condizione può aggravarsi.

Il nodo più controverso: il Ssn fuori dal percorso

Il punto più critico è contenuto nell’articolo 4-bis: «Il personale in servizio, le strumentazioni e i farmaci, di cui dispone a qualsiasi titolo il Servizio sanitario nazionale non possono essere impiegati per agevolare l’esecuzione del proposito suicidario».

In pratica, lo Stato si tira indietro. Nessun medico, infermiere, ospedale o farmaco del sistema pubblico potrà essere coinvolto. Tutto il peso – sanitario, organizzativo, psicologico ed economico – ricadrà sulle famiglie e su strutture private. Una scelta che rischia di generare forti disparità sociali, lasciando indietro chi non ha mezzi o possibilità di accesso a percorsi alternativi.

Un muro tra paziente e Stato

La decisione di escludere il Ssn appare in contrasto con i principi di universalità e uguaglianza sanciti dall’art. 32 della Costituzione. Per i malati più fragili, la prospettiva è di trovarsi soli, senza tutele pubbliche, in un percorso che dovrebbe invece garantire dignità e accompagnamento.

Il dibattito resta acceso: tra chi rivendica il diritto all’autodeterminazione e chi teme derive eutanasiche, la politica sceglie la via più restrittiva. Ma la domanda resta: è davvero questo il modo di garantire dignità nella fase finale della vita?