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Hera S.p.A., il paradosso della sostenibilità: efficienza per chi?

 
Hera S.p.A., il paradosso della sostenibilità: efficienza per chi?

C’è qualcosa che non torna nella narrazione che accompagna Hera S.p.A., la multiutility dell’Emilia-Romagna spesso celebrata come simbolo di efficienza e sostenibilità. Dai bilanci agli slogan green, dai rapporti ESG ai premi di settore, l’azienda appare come un gigante virtuoso, impeccabile. Eppure, parlando con chi vive nei territori serviti, l’entusiasmo si spegne. A prevalere è un sentimento misto di scetticismo e disincanto: davvero Hera risponde ancora a una logica di servizio pubblico?

Nel 2024, Hera ha superato i 9 miliardi di euro di ricavi e ha dichiarato investimenti record per l’ambiente e l’innovazione tecnologica. Ma dietro i numeri – innegabili – si fanno strada domande scomode: chi paga davvero questa efficienza? E soprattutto, chi decide? Aumentano le tariffe dei rifiuti, il servizio idrico fatica a garantire standard uniformi nelle aree periferiche e gli sportelli al pubblico diventano sempre più digitali e distanti. A risentirne è proprio la “gente”, quella che Hera racconta di servire, ma che sempre più spesso si sente cliente, non cittadino.

Il termovalorizzatore di Modena: la sostenibilità che brucia

Il caso del termovalorizzatore di Modena è emblematico. Hera difende l’impianto come all’avanguardia, dotato di filtri catalitici e monitoraggio continuo. Tuttavia, il confronto con la cittadinanza è tutt’altro che risolto. “Viviamo sotto una ciminiera che ci assicura che tutto è a norma, ma la fiducia è evaporata da tempo”, racconta Stefano M., residente a Sacca, quartiere a ridosso dell’impianto. “Non ci hanno mai chiesto davvero cosa ne pensiamo. È tutto deciso altrove”. Secondo i dati forniti dalla stessa Provincia di Modena (provincia.modena.it), l’impianto rispetta i limiti europei sulle emissioni. Ma ciò che manca è una vera trasparenza partecipativa: i report ci sono, ma il cittadino medio riesce a leggerli? È davvero coinvolto o si limita a subirne le conseguenze?

Governance: pubblico in vetrina, privato nei fatti

Hera è formalmente un’azienda “mista”, con Comuni azionisti e una governance condivisa. In pratica, però, il baricentro si è spostato. Gli indirizzi strategici si prendono nelle torri direzionali, non nei consigli comunali. La missione originaria – unire efficienza industriale e presidio pubblico – sembra sempre più sbilanciata verso la prima. La finanza governa, mentre i territori osservano, spesso senza strumenti né voce. E questo porta a un paradosso strutturale: più Hera cresce, più si allontana dal modello che l’ha fatta nascere.

Neppure sul fronte del lavoro tutto brilla. I dipendenti diretti godono di buone condizioni, ma una quota crescente dei servizi è affidata a cooperative e imprese esterne. “Il badge è Hera, ma il contratto è con altri. E i diritti? Flessibili”, ironizza un operatore in appalto di Cesena. Esternalizzazione e subappalto sono strumenti legittimi, ma quando diventano prassi strutturale, erodono dignità e tutele.

Sostenibilità di facciata?

L’ossessione per la sostenibilità certificata – un mantra ricorrente nei documenti ufficiali – rischia di trasformarsi in greenwashing sistemico. Hera parla il linguaggio degli obiettivi climatici, delle “smart city” e dell’economia circolare, ma quanto di questo linguaggio è azione reale e quanto è marketing? Le comunità locali si trovano strette tra retoriche ambientali e impatti quotidiani. Le risposte aziendali, spesso tecniche, non colmano il deficit di ascolto. Il rischio è che Hera diventi una sostenibilità “asettica”, distante, calata dall’alto. Vent’anni dopo la sua nascita, Hera è una macchina potente, strutturata, solida. Ma è anche un soggetto sempre meno comunitario. Il suo modello di crescita – legittimo e spesso efficace – apre una frattura che nessun bilancio può nascondere: Hera è ancora “di tutti”? O è diventata l’ennesimo attore che promette inclusione e restituisce distanza?

Per un’azienda che gestisce acqua, energia, rifiuti – cioè diritti di base – non è una questione secondaria.

A.A.