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Prevenzione ospedaliera: i lavandini come serbatoi nascosti di agenti patogeni

 
Prevenzione ospedaliera: i lavandini come serbatoi nascosti di agenti patogeni
Redazione

Studi internazionali rivelano come i sistemi idraulici e i lavandini negli ospedali contribuiscano alla diffusione di infezioni pericolose

Cosa collega ogni stanza di un ospedale, consentendo ai pazienti di condividere agenti patogeni e fungendo da ambiente ideale per la loro crescita? L’impianto idraulico.

Uno sciacquone al sesto piano può generare variazioni di pressione tali da inviare microscopiche bolle d’aria contenenti patogeni nelle stanze sottostanti. Al centro di questo rischio sanitario ci sono i lavandini ospedalieri: onnipresenti e indispensabili per l’igiene delle mani, ma anche potenziali veicoli di contaminazione.

A seconda della struttura, i lavelli ospedalieri possono entrare in contatto con rifiuti biologici come espettorato, sangue, bevande, e perfino materia fecale. Questi rifiuti apportano nutrientiacqua, carboidrati, proteine e lipidi – ideali per alimentare la crescita batterica e la diffusione microbica.

Uno studio condotto in quattro ospedali americani per gravi patologie ha rilevato che il 25% dei lavandini era contaminato da bacilli gram-negativi resistenti ai fluorochinoloni. In Svizzera, un altro studio ha identificato Pseudomonas aeruginosa con carbapenemasi nella trappola p e nei drenaggi dei lavandini in un’unità di terapia intensiva.

Ma i patogeni non restano confinati nel sistema idraulico. La forma del bacino e la portata d'acqua possono determinare la dispersione di germi sulle superfici vicine. Anche 30 secondi di acqua calda o fredda possono suffire per contaminare l’ambiente circostante.

Un’analisi retrospettiva su 552 unità di terapia intensiva in Germania ha mostrato che il rischio di infezione era più elevato nei pazienti con lavandini in camera. In uno studio su un’epidemia da P. aeruginosa produttore di beta-lattamasi, la fonte più probabile era proprio il lavandino del bagno della terapia intensiva.

E non si tratta di contaminazioni transitorie: i biofilm che si formano negli scarichi possono ospitare i patogeni fino a tre anni. Questi aggregati di microrganismi racchiusi in uno strato protettivo organico sono 1.000 volte più resistenti ai disinfettanti rispetto ai batteri liberi. La loro eliminazione richiede alte concentrazioni di prodotti o tempi di contatto molto prolungati.

Tuttavia, la struttura verticale degli scarichi rende difficile trattenere disinfettanti sulle superfici umide. Per ovviare al problema, sono stati sviluppati prodotti schiumogeni o gelatinosi, capaci di prolungare l’azione igienizzante. È fondamentale che il disinfettante rimanga bagnato: quando si asciuga, perde rapidamente efficacia.

Il problema non riguarda solo gli ospedali. Anche gli impianti di trasformazione alimentare combattono agenti come la Listeria, che possono risalire gli scarichi e contaminare ambienti produttivi.

Le soluzioni adottate dagli ospedali

Per fronteggiare i focolai legati ai lavandini, alcuni ospedali hanno adottato misure drastiche:

  • Sostituzione regolare di lavelli e impianti

  • Installazione di riscaldatori negli scarichi

  • Disinfezione intensificata

  • Rimozione totale dei lavandini nelle unità più sensibili, come le terapie intensive

Queste soluzioni hanno ridotto i focolai, ma non sempre prevengono l’accumulo di agenti patogeni, specialmente in presenza di biofilm persistenti.