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Mobilità sanitaria: l’Italia spaccata tra un Nord che attrae e un Sud che fugge

 
Mobilità sanitaria: l’Italia spaccata tra un Nord che attrae e un Sud che fugge
di Katrin Bove

Ci sono numeri che pesano più delle parole, e poi ci sono parole che diventano inevitabili quando si leggono quei numeri. Il Rapporto Agenas 2025 è l’ennesima radiografia di un Paese che continua a curarsi a due velocità: da un lato le Regioni del Nord, con ospedali e cliniche che attraggono pazienti come calamite; dall’altro, il Sud che si svuota, costretto a spedire altrove i propri cittadini in cerca di salute.

La cifra che fa da cornice è enorme: quasi 3 miliardi di euro bruciati ogni anno in viaggi della speranza. Ma dietro quelle colonne di bilancio ci sono viaggi reali, persone che caricano una valigia, famiglie che si organizzano per spostarsi a centinaia di chilometri di distanza, malati che non scelgono: fuggono.

Il Nord incassa, il Sud paga

Ancora una volta, le classifiche parlano chiaro. Lombardia ed Emilia-Romagna registrano saldi attivi impressionanti – rispettivamente 383 e 387 milioni di euro – seguite dal Veneto e dalla Toscana. Le Regioni meridionali, invece, scivolano nell’abisso dei passivi: Campania con oltre 211 milioni di deficit, Calabria con -191 milioni, Sicilia con -139 milioni. È un rosario di cifre che si ripete ogni anno, come un mantra crudele: il Nord cresce, il Sud arretra.

E non si tratta solo di “mobilità di confine”, di pazienti che attraversano la linea immaginaria che separa una Regione dall’altra perché magari l’ospedale più vicino si trova oltre confine. No. Al Sud la fuga è strutturale, lontana, onerosa. Basti pensare che Campania, Calabria, Sicilia e Puglia da sole rappresentano quasi il 60% della spesa nazionale per la mobilità non di prossimità. Non parliamo di comodità: parliamo di assenza di alternative.

La sanità pubblica arranca, il privato vince

C’è un altro dato che dovrebbe inquietare chiunque creda ancora nell’universalità del Servizio Sanitario Nazionale. Più di due ricoveri su tre in mobilità finiscono in strutture private accreditate. Non è solo un trasferimento di pazienti, è un trasferimento di risorse: i soldi pubblici si spostano dalle Regioni povere a cliniche private che prosperano altrove.

La sanità pubblica, quella che dovrebbe garantire a tutti la stessa qualità di cure, arranca, soffocata da carenze croniche di personale, attrezzature obsolete, liste d’attesa infinite. Il privato, invece, diventa il rifugio obbligato. Ma a quale prezzo?

L’Italia dei diritti dimezzati

La verità è che oggi il diritto alla salute non è più uguale per tutti. È un diritto dimezzato, condizionato dal codice di avviamento postale. Nascere a Milano o Bologna significa avere sotto casa ospedali che attraggono pazienti da tutta Italia. Nascere a Reggio Calabria o a Napoli significa mettere in conto viaggi, spese, disagi.

E allora la domanda si fa inevitabile: dov’è finito il principio di equità che dovrebbe sorreggere il nostro SSN? Possiamo ancora parlare di un “sistema sanitario nazionale” quando intere aree del Paese non riescono a garantire nemmeno i LEA, i Livelli Essenziali di Assistenza?

Il prezzo della fuga

Non è solo un tema economico. È un dramma sociale. Ogni euro che scivola via dalle casse di una Regione meridionale è un euro in meno per migliorare ospedali locali, assumere medici, ridurre le liste d’attesa. È una spirale che si autoalimenta: più cittadini fuggono, meno risorse restano; meno risorse restano, più cittadini sono costretti a fuggire.

C’è poi il prezzo umano: famiglie divise, anziani soli, pazienti oncologici costretti a fare avanti e indietro per cicli di terapie lontane centinaia di chilometri. È la normalizzazione della migrazione sanitaria come destino, non come eccezione.

Serve coraggio politico

E allora smettiamola di chiamarla “mobilità sanitaria”. È una fuga sanitaria. Un esodo che mina la fiducia dei cittadini nel sistema pubblico, che allarga i divari territoriali, che trasforma il diritto alla salute in un privilegio geografico.

Il rapporto Agenas ci mette davanti a uno specchio: possiamo scegliere di continuare a descrivere la frattura, o possiamo finalmente affrontarla. Ma per farlo serve coraggio politico: investire davvero nel Sud, rendere attrattivi i suoi ospedali, fermare la fuga dei medici, ridare dignità a chi oggi vive in territori considerati periferie di serie B.

Perché se la salute è un diritto universale, allora non può dipendere da quanti chilometri sei disposto a percorrere per ottenerla.