È caduta anche l'ultima foglia di fico: Moody's, l'ultima grande agenzia di rating a farlo, ha tolto la tripla A ai titoli del debito pubblico statunitense. Standard & Poor's (S&P) aveva già compiuto questo passo nel 2011, seguita da Fitch nel 2023
di Luca Lippi
Un declassamento implica che, per emettere nuove obbligazioni, gli USA dovranno offrire rendimenti più alti, essendo considerati meno affidabili. Da ottobre (inizio dell'anno fiscale USA) ad oggi, gli Stati Uniti hanno speso 579 miliardi di dollari in interessi sul debito. Paradossalmente, questa cifra supera i 536 miliardi spesi per la difesa ed è enormemente superiore alla spesa sanitaria. Questa situazione, frutto di un debito pubblico di 36.600 miliardi accumulato negli ultimi 20 anni, non nasce con l'attuale amministrazione Trump, ma sta erodendo le fondamenta economiche del paese.
UN DECLASSAMENTO SIMBOLICO MA RILEVANTE
Il downgrade di Moody’s è più simbolico che immediatamente operativo, ma proprio per questo significativo. Sebbene gli USA restino un mercato solido, l'immagine di sicurezza assoluta del loro debito inizia a incrinarsi. La motivazione di Moody’s è chiara: debito eccessivo e troppo costoso. Il confronto con Paesi economicamente simili ma con rating inferiori evidenzia una divergenza crescente.
Il tempismo, inoltre, è critico: l'America necessita di emettere circa 9.000 miliardi di dollari di nuovo debito entro il 2026 per sostituire quello in scadenza. L'amministrazione USA auspicherebbe tassi bassi, ma questo declassamento potrebbe spingere i rendimenti al rialzo, risvegliando i "bond vigilantes": investitori che esigono interessi più alti di fronte a segnali di squilibrio. Anche una piccola crepa nella fiducia può costare miliardi in interessi, specialmente quando il mercato dei Treasury deve assorbire volumi record di nuova emissione.
IL TEMPISMO DI MOODY'S E LE GIUSTIFICAZIONI
Moody's aveva mantenuto la tripla A per anni, forse per la presenza dei Democratici alla Casa Bianca; con l'amministrazione Trump, è arrivato il declassamento a AA1 con Outlook stabile. L'agenzia giustifica la mossa citando le mancate riforme delle successive amministrazioni e del Congresso volte a invertire la tendenza di ingenti deficit fiscali annuali e crescenti costi degli interessi. Una motivazione ineccepibile, seppur tardiva.
Moody's prevede un aumento del deficit nel prossimo decennio, con la spesa obbligatoria (inclusi gli interessi) che salirà al 78 per cento della spesa totale USA entro il 2035 (dal 73 per cento attuale), lasciando poco spazio agli investimenti. Se i tagli fiscali e il Jobs Act di Trump del 2017 fossero confermati, il deficit primario potrebbe aumentare di circa 4.000 miliardi di dollari nel prossimo decennio.
LE PROSPETTIVE FUTURE
L'agenzia stima che i deficit federali aumenteranno a quasi il 9 per cento del PIL entro il 2035 (dal 6,4 per cento del 2024), e l'onere del debito federale raggiungerà il 134 per cento del PIL (dal 98 per cento dell'anno scorso). Il report di Moody's affronta anche problematiche istituzionali, pur difendendo l'operato della Federal Reserve.
La Casa Bianca, tramite il vice portavoce Kush Desai, ha replicato: "L'amministrazione Trump e i repubblicani sono concentrati sulla soluzione del pasticcio di Biden… Se Moody's avesse avuto un minimo di credibilità, non sarebbe rimasta in silenzio mentre si consumava il disastro fiscale degli ultimi 4 anni".
Al netto del ritardo di Moody’s, va notato che nei primi mesi dell'amministrazione Trump non si è vista una netta inversione di tendenza sui conti pubblici. Interventi come quelli al Dipartimento dell'Energia (DoE) – DOGE è il solito acronimo inventato da certa stampa - hanno avuto più impatto mediatico che effetti sostanziali sui conti. Le previsioni di Moody's, se non si interverrà decisamente, potrebbero rivelarsi fin troppo ottimistiche, con il rapporto debito/PIL al 134 per cento raggiungibile forse già nel 2030. Trump ha ragione a lamentarsi della situazione ereditata, condizione frequente per le nuove amministrazioni, spesso elette proprio per rimediare a gestioni precedenti fallimentari.
BASTA DOLLARI IN BENEFICENZA
Il lavoro per la nuova amministrazione sarà arduo e non promette una "nuova età dell'oro" a breve. Più che manovre drastiche, servirà una gestione oculata delle finanze, rivedendo le priorità di spesa e promuovendo una politica economica sostenibile che coinvolga responsabilità condivise anche a livello internazionale. In sintesi, basta dollari in beneficenza!
LA CONTROVERSA CREDIBILITÀ DELLE AGENZIE DI RATING
La credibilità delle agenzie di rating, enti privati operanti in un mercato oligopolistico, è da tempo sotto esame. Il declassamento di S&P nel 2011, motivato da dubbi sulla sostenibilità del debito e impasse politica, fu molto controverso e contestato dal Tesoro USA. Similmente, le recenti mosse di Fitch e Moody's sollevano interrogativi sul perché abbiano ignorato per anni problemi di bilancio, agendo poi in momenti
percepiti come politicamente delicati o tardivi. Le cause possono includere la difficoltà nel prevedere la volontà politica dei governi, possibili pressioni esterne e la complessità intrinseca della valutazione del rischio sovrano. Nonostante alcuni miglioramenti, le metodologie di rating non sono sempre del tutto trasparenti, e il dominio di tre grandi attori potrebbe ridurre la spinta competitiva verso una maggiore accuratezza.