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Oltre il mito della meritocrazia: salari fermi e disuguaglianze

 
Oltre il mito della meritocrazia: salari fermi e disuguaglianze
Luca Lippi

Oltre il mito della meritocrazia: la verità sui salari e il potere

Molti cittadini vivono una realtà frustrante: nonostante l'impegno costante e le ore di lavoro, la propria situazione economica non migliora. I salari sembrano non crescere mai, e arrivare alla fine del mese richiede sforzi sempre maggiori. Questa diffusa sensazione di immobilità non è il risultato di un fallimento individuale, ma la conseguenza diretta di un sistema economico le cui regole, negli ultimi decenni, hanno progressivamente favorito una ristretta minoranza a scapito della maggioranza della popolazione.

La critica non è rivolta al liberismo come principio generale, ma alla sua interpretazione più recente ed estrema: il neoliberismo. Il problema, quindi, non è un astratto scontro ideologico tra "destra" (liberismo) e "sinistra" (socialismo). La questione è molto più pratica e basata sul buon senso: si contesta il modo in cui una teoria economica flessibile è stata trasformata in un dogma, ovvero un insieme di regole rigide e presentate come indiscutibili.

Questa trasformazione non è casuale. Spesso, è il risultato dell'influenza di lobby e potenti gruppi d'interesse che hanno spinto per creare leggi a proprio vantaggio, mascherandole da principi economici necessari e inevitabili.

Il mito infranto della meritocrazia e della mobilità sociale

Per molto tempo, la nostra società si è basata sulla promessa delle "pari opportunità": l'idea che chiunque, attraverso il talento e il duro lavoro, possa raggiungere il benessere economico. Tuttavia, i dati mostrano un quadro diverso. L'Italia, in particolare, registra uno dei tassi più bassi di mobilità sociale in Europa. Questo termine descrive la capacità di una persona di migliorare la propria posizione economica e sociale rispetto a quella della famiglia d'origine.

In un sistema con bassa mobilità sociale, il punto di partenza determina in larga misura il punto di arrivo. L'accesso a un'istruzione di alta qualità, a cure mediche adeguate e a una rete di contatti professionali dipende sempre più dalle risorse economiche familiari. Di conseguenza, il vero ostacolo non è la mancanza di opportunità in astratto, ma l'assenza di "pari capacità" per tutti di poterle effettivamente cogliere, creando un circolo vizioso che perpetua le disuguaglianze di generazione in generazione.

Le radici del divario: come siamo arrivati a questo punto?

Per comprendere la situazione attuale, è utile analizzare le scelte politiche ed economiche degli ultimi quarant'anni. Organizzazioni come Oxfam, nel suo report "La disuguaglianza non è un caso" ( https://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2024/01/Rapporto-OXFAM-Disuguaglianza_il-potere-al-servizio-di-pochi_15_1_2024.pdf ), definiscono il modello attuale come un sistema "estrattivo". Immaginiamo un frutteto: invece di coltivarlo per garantire un raccolto abbondante per tutti e per gli anni a venire, questo sistema "estrae" più frutti possibile, il più velocemente possibile, per il beneficio di pochi, impoverendo il terreno e lasciando sempre meno per gli altri.

Questo approccio è stato promosso da due grandi fenomeni interconnessi   

 

Le politiche neoliberiste

 

A partire dagli anni '80, si è diffusa l'idea che lo Stato dovesse "fare un passo indietro" e lasciare che il mercato si regolasse da solo. Questo ha portato a privatizzazioni di servizi pubblici essenziali (come sanità, trasporti ed energia), a tagli alla spesa sociale e a una riduzione delle tutele per i lavoratori. L'obiettivo dichiarato era creare più ricchezza, ma il risultato è stato un indebolimento dei servizi su cui i cittadini a basso e medio reddito fanno affidamento.

Una globalizzazione non governata

L'apertura dei mercati globali, sebbene abbia portato alcuni benefici, non è stata gestita per proteggere i lavoratori. Le aziende hanno potuto spostare la produzione in Paesi con manodopera a basso costo e meno regole (delocalizzazione), mettendo in competizione i lavoratori di tutto il mondo. Questo ha impedito ai salari di crescere nei Paesi più sviluppati e ha aumentato la precarietà lavorativa, con una diffusione di contratti a termine e a basse tutele.

Il risultato combinato di queste dinamiche è sotto i nostri occhi: mentre la produttività e i profitti delle grandi aziende sono cresciuti, i salari della maggior parte dei lavoratori sono rimasti al palo, e la ricchezza si è concentrata in modo sempre più evidente al vertice della piramide sociale.

Costruire il cambiamento: dalla consapevolezza all'azione collettiva

Prendere atto di questa realtà non deve portare alla rassegnazione, ma a una nuova forma di impegno. Il cambiamento richiede un passaggio dalla frustrazione individuale a un'azione collettiva e informata. Ecco alcune direzioni concrete.

Riappropriarsi della conoscenza

Il primo passo fondamentale è informarsi da fonti attendibili e critiche per comprendere i meccanismi che generano disuguaglianza. Leggere analisi come quelle fornite da Oxfam o da istituti di ricerca indipendenti ci permette di smascherare le false narrazioni e di basare le nostre opinioni su dati concreti. Una cittadinanza informata è meno manipolabile e più capace di chiedere cambiamenti reali.

Esercitare la cittadinanza attiva

La democrazia offre strumenti di partecipazione che vanno ben oltre il momento del voto. Impegnarsi in comitati di quartiere, sostenere sindacati che lottano per condizioni di lavoro e salari dignitosi, o unirsi ad associazioni che difendono beni comuni come la sanità e l'istruzione pubblica, significa trasformare la protesta in proposta. Sia ben chiaro, pretendere una maggiore tutela del bene comune non significa entrare a gamba tesa nel ruolo e nella funzione dell’istituzione, ma significa pretendere che l’istituzione assolva il suo ruolo rispettando la missione. Entrare direttamente nel processo funzionale dell’istituzione (per esempio i genitori che pretendono di dettare regole o criticare metodologie educative ai funzionari preposti all’educazione e istruzione dei propri figli) è un’anomalia che altera la funzione educativa della scuola. Esercitare una pressione sui decisori politici significa pretendere che le istituzioni assolvano correttamente e con professionalità ai loro ruoli, compiti e funzioni.

Promuovere un'economia più equa e sostenibile

Come consumatori e cittadini, le nostre scelte quotidiane possono fare la differenza. Privilegiare l'acquisto da produttori locali, piccole imprese e cooperative sociali aiuta a sostenere un tessuto economico radicato nel territorio, che distribuisce la ricchezza in modo più equo rispetto al modello delle grandi multinazionali, spesso focalizzate su strategie di elusione fiscale e compressione dei costi del lavoro.

Esigere politiche redistributive e investimenti nel futuro

È cruciale chiedere alla politica di tornare al suo ruolo primario: ridurre le disuguaglianze e garantire il benessere collettivo. Questo si traduce in richieste specifiche: una riforma fiscale che chieda un contributo maggiore a chi possiede grandi patrimoni e redditi, l'introduzione di un salario minimo legale equo per combattere il lavoro povero, e un piano straordinario di investimenti pubblici nell'istruzione, nella sanità.  Settori chiave per garantire un futuro prospero e giusto per le nuove generazioni.

Il percorso per riequilibrare il sistema è indubbiamente complesso, ma non impossibile. Inizia dalla consapevolezza che la nostra condizione non è un destino inevitabile, ma il risultato di scelte precise. E così come delle scelte ci hanno portato qui, nuove scelte, più consapevoli e collettive, possono portarci in una direzione diversa.