• Non è solo luce e gas, è l'energia di casa tua.
  • Un museo. Quattro Sedi. IntesaSanPaolo
  • La piattaforma di wealth planning
  • Italpress Agenzia di stampa

Il dramma degli operatori umanitari In Sudan: "Siamo costretti a scegliere a chi salvare la vita"

 
Il dramma degli operatori umanitari In Sudan: 'Siamo costretti a scegliere a chi salvare la vita'
Redazione

In Sudan, teatro di una delle tante ''guerre dimenticate'', sta vivendo un dramma che sembra non avere fine e nel quale gli operatori sanitari, impegnati giorno e notte, cercano con tutte le loro forze di portare soccorso ad una popolazione stremata dalle conseguenze del conflitto che dilania il Paese dal 2023, con milioni di sfollati e decine di migliaia di morti per mano delle milizie paramilitari, per quella che l'Onu definisce ''la peggiore crisi umanitaria al mondo''.

Il dramma degli operatori umanitari In Sudan: "Siamo costretti a scegliere a chi salvare la vita"

Nel Paese il conflitto vede contrapposti l'esercito e i paramilitari delle Rapid Support Forces (RSF). Gli operatori sono spesso davanti a quello che definiscono un ''dilemma disumano'', quando, come ha detto uno di loro, in una drammatica testimonianza all'AFP, ''siamo costretti a scegliere chi salvare e chi no". A parlare è il responsabile della logistica della ONG Handicap International, Jérôme Bertrand.

"È una scelta, un dilemma disumano, che gli operatori umanitari devono fare e va completamente contro i nostri valori'', afferma Jérôme Bertrand, aggiungendo che i suoi team danno priorità "ai bambini, alle donne incinte e alle donne che allattano, sperando che gli altri riescano a resistere".

La sua missione è quella di facilitare le operazioni di emergenza, per rispondere al meglio alle "immense necessità". Tutto questo senza un aeroporto funzionante, attraverso strade spesso impraticabili nella stagione delle piogge, con "ostacoli amministrativi" al confine con il Ciad - attualmente l'unica via di accesso al Darfur - costi esorbitanti e finanziamenti internazionali insufficienti.

"Si tratta dell'intera fornitura di un territorio grande quanto la Francia, con undici milioni di abitanti, che passa, in parte, a dorso d'asino", spiega Bertrand, sottolineando "lo stato di anarchia" , "la totale assenza di strutture statali", "molto banditismo", tensioni per la sicurezza e, sulle strade, "estorsione, furto, aggressioni, arresti".

A Tawila, una città di rifugiati che attualmente ospita più di 650.000 civili provenienti da El-Fasher o dal campo di Zamzam, gestito dall'RSF, Bertrand ha visto "persone a cui non è rimasto assolutamente nulla" mentre "gli attori umanitari non sono in grado di soddisfare tutte queste necessità".

La sospensione di alcuni aiuti statunitensi (USAID) ha causato una perdita del 70% delle risorse in Darfur e solo un quarto dei bisogni viene ora soddisfatto, ha affermato l'operatore umanitario, che ha anche parlato di 80.000 persone alla deriva sulle strade, sottoposte a violenze, estorsioni e talvolta riscatti. Coloro che raggiungono Tawila mostrano segni di malnutrizione, ferite da tortura o ferite da arma da fuoco.

Da Jérôme Bertrand giunge anche un'accusa rivolta alla comunità internazionale, che, a suo avviso, sta permettendo ai gruppi armati di "uccidersi a vicenda". "In un'altra epoca (...) avremmo avuto una risoluzione delle Nazioni Unite che avrebbe inviato una forza di interposizione", dice.