• Non è solo luce e gas, è l'energia di casa tua.
  • Un museo. Quattro Sedi. IntesaSanPaolo
  • La piattaforma di wealth planning
  • Italpress Agenzia di stampa

Pier Paolo Pasolini: cinquant'anni fa la violenza privò l'Italia della sua coscienza critica

 
Pier Paolo Pasolini: cinquant'anni fa la violenza privò l'Italia della sua coscienza critica
Redazione

Cinquant'anni fa l'Italia si svegliò sentendo, per radio e in televisione, la notizia della morte violenta di Pier Paolo Pasolini, il poeta, lo scrittore, il regista, l'uomo che visse molte vite e che lasciò la sua di vita sulla terra di una zona che, a quei tempi, era uno dei simboli del degrado di Roma. Città che amava, ma che alla fine lo avviluppò, impedendogli - sempre che lo avesse - di portare a compimento quel processo di redenzione di un Paese che, lui lo aveva capito, stava incamminandosi verso un futuro incerto.

Pier Paolo Pasolini: cinquant'anni fa la violenza privò l'Italia della sua coscienza critica

“L'Italia - scrisse - sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo. Essere laici, liberali, non significa nulla, quando manca quella forza morale che riesca a vincere la tentazione di essere partecipi a un mondo che apparentemente funziona, con le sue leggi allettanti e crudeli. Non occorre essere forti per affrontare il fascismo nelle sue forme pazzesche e ridicole: occorre essere fortissimi per affrontare il fascismo come normalità, come codificazione, direi allegra, mondana, socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una società.”

Frasi che l'Italiano medio non capiva, mentre il Colto o l'Acculturato facevano finta di non sapere interpretare. Ma quelle parole, le mille e mille parole di Pasolini, suonavano come un perenne atto d'accusa contro una società che la guerra avrebbe dovuto purificare e che, invece, si ritrovava imbozzolata in quel ''volemose bene'' che ha caratterizzato la nostra storia.

Cinquant'anni fa l'Italia si svegliò avendo davanti la scelta se leggere, avidamente, i resoconti giornalistici, abbeverandosi degli aspetti più ambigui della morte di Pasolini per mano di uno dei suoi ''ragazzi di vita'' oppure piangere il Poeta delle periferie, che non sono luoghi fisici e dello spirito, ma quell'angolo della società dove ci si trova costretti a guardare da lontano i riti del potere.

Quella morte, che ancora oggi, nonostante l'esito giudiziario (la condanna di Pino Pelosi come unico responsabile), appassiona qualcuno, che cerca risposte laddove le indagini non le hanno date, alimentando quindi teorie e sospetti, che ruotano sul fatto che Pasolini doveva essere neutralizzato e che, per questo, la sua fine doveva essere nel modo più simbolico possibile del degrado della sua filosofia di vita.

Se vivi ''nel peccato'', sai a cosa puoi andare incontro. Con la chiosa abituale: se non fosse andato, se non fosse stato un vizioso, se fosse stato normale, quando quelli come lui venivano bollati come ''invertiti'', almeno nei discorsi ufficiali.

I tanti ''se'' che Pasolini si è sempre portato dietro, vincendo comunque le sue battaglie letterarie e artistiche, ma non quelle contro sé stesso, contro le sue paure e le sue convinzioni, perennemente a combattersi, in una sublimazione dell'eros e thanatos che possono convivere solo in un uomo dalla personalità complessa.

Ma, seppure da uomo di cultura, sensibile ai cambiamenti e capace di carpirne l'essenza e i reali obiettivi, Pier Paolo Pasolini non era coinvolto nelle correnti dell'intellighenzia dominante in quegli anni, cercando di prenderne le distanze, ma non al punto da guardarla come ad un oggetto che arriva da un'altra galassia, attraversando lo spazio e il tempo.

''Solo ciò che avviene ‘'dentro il Palazzo' - ebbe a scrivere - pare degno di attenzione e interesse: tutto il resto è minutaglia, brulichio, informità, seconda qualità… E naturalmente, di quanto accade 'dentro il Palazzo', ciò che veramente importa è la vita dei più potenti, di coloro che stanno ai vertici. Essere 'seri' significa, pare, occuparsi di loro. Dei loro intrighi, delle loro alleanze, delle loro congiure, delle loro fortune; e, infine, anche, del loro modo di interpretare la realtà che sta 'fuori dal Palazzo': questa seccante realtà da cui infine tutto dipende, anche se è così poco elegante e, appunto, così poco 'serio occuparsene''.

Ecco: Pier Paolo Pasolini era questo, era un uomo che viveva, contemporaneamente, dentro e fuori il suo tempo, cogliendone la bellezza, ma anche le distorsioni.
Un uomo che aveva sfidato le convenzioni, regalandosi anche la regia cinematografica, un passo al quale, per gli ''altri'' era assolutamente impreparato e che pure gli consentì di regalarci capolavori non sempre apprezzati come tali.

Questo era l'uomo, l'intellettuale, l'osservatore, il fustigatore, il censo.
Quello trovato il 2 novembre del 1975, all'Idroscalo di Ostia, era solo un involucro, carne, ossa e tendini devastati dalla violenza, gettato, senza ormai nemmeno la parvenza di un volto, nella polvere come un sacco di puzzolente spazzatura.
Ma lui c'è ancora a distanza di 50 anni, da quella drammatica notte: questa la sua grandezza.