Con l’individuazione di 14 aree lucane nella selezione preliminare per il deposito nazionale, la regione ribadisce il “no” e solleva questioni ambientali, geologiche e partecipative.
Un tema tornato al centro del dibattito
La regione Basilicata è nuovamente protagonista di un confronto di grande rilievo nazionale: quello della localizzazione del futuro deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. Nel corso del 2025 è emerso che ben 14 aree lucane sono comprese nella selezione preliminare della Carta nazionale delle aree idonee (CNAI) per il sito unico destinato allo stoccaggio delle scorie nucleari.
La posta in gioco è elevata: da un lato la necessità dello Stato italiano di definire una soluzione definitiva per la gestione dei rifiuti radioattivi; dall’altro, la Basilicata che esprime una contrarietà forte e strutturata, chiedendo che il proprio territorio non sia oggetto di decisioni imposte senza reale partecipazione.
Le posizioni ufficiali della Regione
La Giunta regionale lucana ha ribadito con chiarezza la propria opposizione alla possibilità che il deposito nazionale venga installato in Basilicata. L’assessora all’Ambiente e alla Transizione energetica, Laura Mongiello, ha chiarito che «non c’è spazio per ambiguità: la Basilicata dice no al deposito nazionale delle scorie nucleari».
L’assessora ha anche sottolineato che il voto favorevole della Regione alla legge delega nucleare non equivale in alcun modo ad accettare la localizzazione del deposito. Si tratta infatti – ha precisato – di un passaggio normativo nazionale che nulla toglie alla ferma contrarietà della Basilicata.
Il 14 novembre 2025 la Regione ha inoltre diffuso un comunicato ufficiale che ribadisce l’“irrevocabile no” e annuncia la consegna al Ministero di un dossier tecnico-scientifico contenente criticità geologiche, paesaggistiche, idriche e socio-economiche relative alle aree individuate.
Le ragioni del “no” e le criticità tecniche
Il rifiuto della Basilicata non è basato solo su logiche politiche o identitarie: si fonda su dati tecnici e valutazioni scientifiche. Nel dossier regionale emergono diverse criticità:
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Fragilità sismica e complessità geologiche in alcune delle aree candidate.
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Vocazione agricola e turistica del territorio, soprattutto nelle zone ioniche e del Materano, dove il deposito potrebbe compromettere economia e immagine del territorio.
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Presenza di aree naturali tutelate, come il corridoio ecologico della costa ionica, ritenuto incompatibile con infrastrutture di questo tipo.
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Rischi idrici, con la presenza di sistemi idrici sensibili che potrebbero essere vulnerabili in caso di incidenti.
Le associazioni ambientaliste, tra cui Legambiente Basilicata, hanno definito la procedura nazionale sul deposito «un pasticcio», sottolineando che la regione ospita già un sito altamente problematico come l’impianto ITREC di Rotondella, che da anni richiede bonifiche e interventi.
La mobilitazione sociale e la memoria delle proteste
La contrarietà della popolazione lucana ha radici profonde. Nel novembre 2003 la Basilicata fu teatro di una delle più grandi mobilitazioni civiche della storia italiana: la protesta di Scanzano Jonico contro l’ipotesi di deposito unico delle scorie.
Quel movimento, culminato nella “Marcia dei 100 mila”, ha lasciato un’eredità identitaria forte: la Basilicata non accetta decisioni calate dall’alto, soprattutto quando riguardano la salute, l’ambiente e il futuro delle comunità.
Nel 2025, con la riapertura del dossier nazionale, il clima di mobilitazione torna a crescere, spesso alimentato dal timore che il territorio venga considerato sacrificabile rispetto ad altri.
Implicazioni ambientali, economiche e sociali
La scelta del sito unico nazionale comporta effetti profondi e duraturi. In Basilicata si teme:
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un impatto negativo su agricoltura, turismo e filiere agroalimentari di pregio;
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una perdita reputazionale per un territorio che investe sul paesaggio e sulla sostenibilità;
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l’incertezza derivante da una procedura che individua numerose aree lucane tra quelle possibili, generando preoccupazione diffusa;
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la reiterazione del tema dell’equità territoriale, con la percezione di un Mezzogiorno chiamato ancora una volta a sopportare costi ambientali superiori ai benefici.
Le istituzioni regionali chiedono inoltre che la Valutazione Ambientale Strategica (VAS) sia realmente vincolante e che le comunità locali siano coinvolte non solo formalmente ma in modo sostanziale.
Quale futuro per la Basilicata?
Il percorso del deposito unico non è definito e prevede anni di analisi, consultazioni e verifiche tecniche. La Regione Basilicata continua a chiedere:
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trasparenza totale sulle valutazioni geologiche, idriche e ambientali dei siti;
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partecipazione reale delle comunità e degli enti locali;
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rispetto della vocazione territoriale, soprattutto nelle aree ioniche;
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compensazioni ambientali e sociali solo se condivise con la popolazione;
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un riequilibrio nella strategia nazionale affinché il Mezzogiorno non sia chiamato a un sacrificio unilaterale.
La partita è quindi aperta: tra esigenze nazionali e tutela locale, la Basilicata rivendica il diritto di difendere il proprio futuro e le proprie risorse.
La Basilicata è al centro di un nodo energetico e ambientale cruciale. Il “no” al deposito nazionale delle scorie nucleari non è solo un rifiuto, ma un atto politico, tecnico e culturale che richiama alla trasparenza, alla partecipazione e alla responsabilità istituzionale.
Il futuro del deposito nazionale – e il ruolo che la Basilicata potrà o non potrà avere in questo processo – dipenderà dalla capacità delle istituzioni di garantire che la scelta sia sicura, equa e condivisa. Per ora, il territorio lucano conferma: il suo “no” è netto, argomentato e destinato a pesare nel dibattito nazionale.