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Un ospedale senza virus dell'epatite C: si può

 
Un ospedale senza virus dell'epatite C: si può

Il Prof. Francesco Paolo Russo, medico dell'UOC di Gastroenterologia presso l'Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova, ha realizzato un progetto di screening - intitolato “Un ospedale senza HCV: si può”, sponsorizzato dalla Regione Veneto - per individuare il virus dell’epatite C.

Il progetto ha coinvolto quasi 11.000 soggetti ricoverati tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2022, sottoposti a screening per la ricerca degli anticorpi anti-HCV. Di questi 11.000 soggetti, il 4,5% è risultato positivo, e di questi il 20% è risultato positivo alla carica virale, un numero molto importante. Quindi, circa l'1% di tutta la popolazione testata è risultata positiva al virus attivo dell'epatite C.

Lo screening nazionale si concentra solo su alcune fasce di età

Il dato che più ha sorpreso i ricercatori ha riguardato l'età dei pazienti colpiti. La maggior parte dei soggetti sottoposti a screening, era al di fuori delle categorie per cui, a livello nazionale, è previsto lo screening per l’epatite C. Il programma nazionale, infatti, si concentra sui nati tra il 1969 e il 1989. Al 30 giugno 2024 lo screening nazionale ha consentito di testare oltre due milioni di persone e di identificare quasi 15.000 casi di infezione attiva ovvero persone che possono accedere alle terapie ed eliminare il virus prima che si manifestino le gravi conseguenze dell’infezione.

Offrire la possibilità di screening anche alle persone che non rientrano in quella fascia

Nonostante il buon risultato però complessivamente i dati dello screening - afferma l’ISS - dimostrano ancora un cospicuo sommerso dell’infezione nel nostro paese. L'esperienza padovana ha rivelato che Il 77% dei soggetti con infezione attiva non rientrava nella fascia di età prevista dallo screening nazionale. Da qui la necessità di ampliare i criteri di screening per intercettare più precocemente il virus e ridurre la sua diffusione. "Questo è un dato molto importante”, ha sottolineato il professor Russo, “perché suggerisce anche a livello nazionale che dovrebbe essere data la possibilità di screening anche alle persone che non rientrano in quella fascia". 

Per quanto riguarda i trattamenti, circa il 50% dei pazienti viremici identificati è stato avviato alla terapia antivirale. “I dati emersi sono stati anche sottomessi all'attenzione di esponenti politici della Regione Veneto, che si sono dimostrati sensibili al tema”, ha aggiunto Russo. "Bisogna prevedere, all'interno degli ospedali, dei protocolli specifici che ci aiutino a non perdere i pazienti positivi. E la speranza è che possano essere allargati i criteri dello screening per l’HCV a livello nazionale".

Redazione