Crepe nel mercato del lavoro americano
Un singolo dato può essere un'anomalia, ma una serie di indicatori che puntano nella stessa direzione formano un segnale. Il mercato del lavoro americano, per mesi pilastro inscalfibile dell'economia, sta mostrando crepe sempre più evidenti, costringendo la Federal Reserve a un cambio di rotta imminente e inaugurando una nuova fase di incertezza per i mercati finanziari.
Non-Farm Payroll e disoccupazione in crescita
Un campanello d'allarme – solo il primo segnale - è arrivato dal report Non-Farm Payroll (NFP è il dato che misura i nuovi posti di lavoro creati ogni mese negli USA, escluso il settore agricolo. È l'indicatore più seguito per valutare la salute del mercato del lavoro) di agosto, che ha deluso profondamente le attese. Sono stati creati appena 22.000 nuovi posti di lavoro, una cifra nettamente inferiore ai 75.000 previsti, che riporta a livelli che non si vedevano dal 2020. A peggiorare il quadro, il tasso di disoccupazione, salito al 4,3 per cento, il valore più alto dalla fine del 2021.
Tuttavia, stride di più la revisione al ribasso dei dati di giugno e luglio, operate dal BLS (l'ufficio di statistica del lavoro). Questo dettaglio confermerebbe che non è “un incidente di percorso”, ma un trend di indebolimento ormai consolidato.
Indicatori JOLTS e segnali di rallentamento
Non si tratta solo dell'NFP. Il "rate of change", ovvero il tasso di variazione di molteplici indicatori, lancia lo stesso messaggio. I dati JOLTS (Job Openings and Labor Turnover Survey, un'indagine mensile che misura le offerte di lavoro, le assunzioni e le separazioni) sulle offerte di lavoro sono scesi ai minimi degli ultimi 10 mesi, i piani di assunzione delle aziende sono crollati ai livelli più bassi dal 2009 e i licenziamenti hanno ripreso a salire. Il cerchio si chiude? Forse! Sicuramente si evidenzia un indebolimento della locomotiva occupazionale statunitense.
La risposta della Federal Reserve
Con un mercato del lavoro in affanno, la direzione della Fed (la banca centrale americana) appare segnata. I mercati finanziari prezzano ormai con una probabilità del 98 per cento un taglio dei tassi di interesse di 25 bps (punti base) già nella riunione del FOMC (Il comitato della Fed che decide la politica monetaria, inclusi i tassi di interesse) del 17 settembre.
La vera incognita, però, non è il primo taglio, ma la traiettoria successiva. Per il 2026, gli investitori si aspettano più tagli di quanti la stessa Fed abbia previsto. La banca centrale si trova in una posizione delicata: da un lato, l'inflazione nel settore dei servizi è ancora forte e i salari crescono a un ritmo moderato (+3,7 per cento annuo); dall'altro, non può ignorare il rischio di una recessione. A meno di un crollo verticale dell'occupazione, la Fed cercherà di non avviare un ciclo di tagli troppo aggressivo, ma il suo margine di manovra si sta riducendo. L'obiettivo è orchestrare un "soft landing" (un atterraggio morbido) per l'economia, ma il rischio di un atterraggio più brusco aumenta.
Reazioni dei mercati finanziari
La reazione dei mercati a questo nuovo scenario è stata immediata e differenziata.
- Obbligazionario (Treasury): Si è verificato un rally immediato, con gli investitori che si sono precipitati a comprare titoli di Stato. Il rendimento del Treasury a 2 anni (il più sensibile alle politiche della Fed) è sceso al 3,5 per cento, il minimo degli ultimi cinque mesi.
- Azionario (S&P 500, Nasdaq): La reazione iniziale è stata positiva, secondo il mantra “bad news = good news”. Una cattiva notizia (lavoro debole) diventa una buona notizia perché implica tassi più bassi, che favoriscono le aziende. Tuttavia, un rallentamento economico troppo marcato potrebbe presto trasformare questo mantra nel suo opposto: “bad news = bad news”, dove i timori per la recessione prevalgono sulla speranza di stimoli monetari.
- Dollaro: La valuta statunitense si è indebolita, appesantita dalla prospettiva di rendimenti più bassi. Di conseguenza, il cambio EUR/USD ha registrato un rimbalzo.
- Oro: E’ il solito bene rifugio che esercita la sua caratteristica, sostenuto dalla combinazione di rendimenti reali più bassi e un dollaro più debole.
Rischio volatilità: il fenomeno "whipsaw"
Il mercato obbligazionario potrebbe comportarsi come un elastico. L'attesa dei tagli della Fed sta spingendo al ribasso i rendimenti dei titoli a lunga scadenza, come l'UST 10yr (il Treasury a 10 anni). Tuttavia, questo movimento potrebbe essere una trappola.
Il rischio è quello di un effetto "whipsaw" (colpo di frusta): i rendimenti potrebbero scendere eccessivamente in anticipazione dei tagli (verso un target del 3,75 per cento), per poi risalire bruscamente (fino al 4,5 per cento) non appena un dato sull'inflazione, come il CPI, si rivelerà più alto del previsto. Questo scenario si è già verificato nel 2024. Per gli investitori, soprattutto quelli più giovani, la lezione deve essere chiara: i bond non sono un porto sicuro in assoluto e le aspettative future possono causare movimenti violenti e improvvisi.
Operativamente, si potrebbe considerare un trade tattico sfruttando il rally attuale, ma preparandosi a "girarsi corti" (scommettere su un calo dei prezzi e un rialzo dei rendimenti) se l'inflazione dovesse tornare a spingere, magari a causa dei dazi o di pressioni fiscali.
L'articolo ha un valore puramente informativo, e non è una sollecitazione diretta o indiretta ad alcun tipo di investimento.