La proposta della testimonianza preregistrata. In Australia si apre il dibattito sul diritto delle vittime a non incontrare l’aggressore in tribunale. Il caso di Amira diventa simbolo di una riforma necessaria
Uno dei momenti più temuti dalle vittime di violenza sessuale è quello del confronto diretto in aula con la persona che le ha aggredite. Un'esperienza che molte sopravvissute descrivono come un secondo trauma, spesso con effetti duraturi e devastanti.
Si sta facendo strada, soprattutto in Australia, una proposta che mira a tutelare maggiormente le vittime: preregistrare la testimonianza prima del processo, così da evitare ulteriori conseguenze negative sulla salute mentale e psicologica delle querelanti. Il procedimento giudiziario, infatti, può trasformarsi in una nuova forma di violenza, dove la difesa sottopone la vittima a un controinterrogatorio serrato, mettendone in discussione la credibilità e scavando nella vita privata.
Il caso di Amira: “Mi sentivo io sotto processo”
Una testimonianza particolarmente forte è quella di una giovane donna, identificata con il nome di fantasia Amira, che ha definito la sua esperienza in tribunale come "simile a un secondo stupro".
"L'atto di violenza originale è stato sostanzialmente replicato, solo che in un'aula di tribunale, davanti all'accusa, alla difesa, al giudice e a una giuria di 12 persone", ha raccontato. "Mi sentivo come se fossi io quella sotto processo".
Nel 2022, il caso di violenza sessuale di Amira è arrivato finalmente in aula, tre anni dopo la denuncia e sei anni dopo i fatti. La giovane, oggi ventiseienne, ha descritto il senso di "sventura imminente" che provava con l'avvicinarsi della data del processo.
"In quel periodo la mia vita era di fatto in pausa… ha influenzato ogni aspetto della mia esistenza: le mie relazioni, il mio lavoro… non mi concentravo sulla guarigione. Solo tanta attesa".
Il giorno del processo, la situazione si è rivelata ancora peggiore del previsto. Amira si è ritrovata faccia a faccia con l’imputato più volte, anche durante le pause del procedimento.
Durante il controinterrogatorio, è stata sottoposta a domande insistenti su aspetti intimi della sua vita, comprese informazioni tratte dalla sua cartella clinica, come l'assunzione di antidepressivi al momento dello stupro.
"È stato brutale", racconta. "Hanno cercato di dipingermi come una persona instabile e inaffidabile. Mi sono sentita disumanizzata, messa a tacere e screditata".
Una riforma per ridare voce e dignità alle vittime
Amira, insieme ad altre sopravvissute e all'organizzazione Fair Agenda, chiede che il sistema giudiziario venga riformato, dando alle vittime il diritto di preregistrare la propria testimonianza. Una misura che in Australia è prevista solo nel Queensland e nel Territorio del Nord, lasciando scoperta gran parte del Paese.
L'estensione di questo diritto è stata anche una delle raccomandazioni chiave emerse dall'indagine sulla violenza sessuale condotta quest'anno dalla Australian Law Reform Commission (ALRC).
"Se avessi avuto la possibilità di registrare in anticipo la testimonianza, avrei avuto un certo controllo su quanto accaduto, perché mi sentivo come una preda seduta sul banco dei testimoni", ha dichiarato Amira.
Un controllo che, per molte vittime, potrebbe significare la differenza tra la guarigione e la rivittimizzazione. Una giustizia davvero equa non può ignorare il peso emotivo di un processo in cui, troppo spesso, la parte lesa è costretta a rivivere ogni dettaglio del proprio dolore.
Redazione