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L’arte esce dai depositi e arriva nelle imprese

 
L’arte esce dai depositi e arriva nelle imprese
Redazione

In Italia, milioni di opere d’arte restano chiuse nei depositi dei musei. Come sottolinea spazio50.org, si calcola che solo il 10-15% del patrimonio culturale nazionale sia visibile al pubblico. Quadri, sculture e reperti spesso non trovano spazio nelle sale espositive e restano invisibili per anni.

L’arte esce dai depositi e arriva nelle imprese

Da questa constatazione nasce una proposta che fa discutere: far uscire parte di queste opere dai magazzini pubblici e ospitarle nelle imprese private, in spazi accessibili e sicuri. L’idea, rilanciata in Lombardia da Assolombarda, mira a valorizzare il patrimonio pubblico coinvolgendo il mondo produttivo. Alcune aziende del territorio – afferma Artribune - si sono dette disponibili ad accogliere nei propri ambienti opere conservate nei depositi, garantendo protezione e visibilità.

Il tema è complesso ma stimolante. Da un lato, si vuole offrire una seconda vita alle opere dimenticate, rendendole nuovamente parte della vita sociale. Dall’altro, si propone un nuovo ruolo per le imprese, viste non solo come motore economico, ma anche come custodi e promotrici di cultura. Già oggi molte aziende italiane possiedono collezioni d’arte moderna e contemporanea, spesso aperte al pubblico su prenotazione. Un volume promosso da Confindustria e patrocinato dal Ministero della Cultura, intitolato Il segno dell’arte nelle imprese, raccoglie 57 esempi di corporate art collection.

Secondo lo studio di Confindustria, l’arte nelle aziende genera benefici concreti: migliora gli ambienti di lavoro, stimola la creatività e rafforza il legame con il territorio. Anche l’immagine dell’impresa ne guadagna, diventando più attenta alla cultura ed al bene comune. Tuttavia, non mancano le criticità. Uscire dai depositi significa anche cambiare responsabilità. Le aziende devono garantire la conservazione e la sicurezza delle opere, ma soprattutto la loro accessibilità pubblica. Se i capolavori finiscono in luoghi chiusi e riservati ai dipendenti, il rischio è che l’iniziativa perda il suo senso originario. L’arte, infatti, appartiene a tutti.

Come sottolinea Archaeoreporter, questa proposta va oltre la provocazione: invita a riflettere su cosa significhi davvero valore pubblico. L’arte non è solo un bene da custodire, ma un linguaggio che unisce comunità, educa e genera partecipazione.

Per questo motivo, aprire i depositi non deve significare privatizzare, ma condividere. Le opere possono uscire dai magazzini, ma devono restare pubbliche, visibili, raccontate ed accessibili. Se le imprese diventano spazi culturali aperti alla cittadinanza, allora questa collaborazione può davvero dare nuova vita all’arte nascosta e creare un modello virtuoso tra cultura, impresa e società.