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La tassa occulta da 25 miliardi che paga il ceto medio

 
La tassa occulta da 25 miliardi che paga il ceto medio
Redazione

Per un cittadino lavoratore è come avere una piccola banca a casa (lo Stato). Lo stipendio mensile arriva regolarmente ma una parte va alla banca sotto forma di tasse. Fin qui, tutto normale. Il problema nasce quando i prezzi al consumo (pane, latte, benzina) salgono molto! Questo si chiama Inflazione. L'inflazione, in pratica, fa rimpicciolire il valore dello stipendio, anche se sul conto in banca la cifra è la stessa. Significa che il potere d'acquisto diminuisce.

La tassa occulta da 25 miliardi che paga il ceto medio

Qui entra in gioco il fenomeno che in gergo tecnico chiamano Fiscal Drag (o "trascinamento fiscale"). La banca di casa (lo Stato) usa delle "scale" per calcolare le tasse: più si sale sulla scala (più si guadagna), più alta è la percentuale di tasse da pagare. Questo sistema si chiama sistema fiscale progressivo. Quando c'è l'inflazione, lo stipendio nominale spesso aumenta un pochino. Ma attenzione: questo aumento serve solo a compensare l'aumento dei prezzi! Nonostante i soldi del lavoratore non valgano di più, la banca a casa (lo Stato) individua un progresso nella "scala delle tasse". Si scivola nella fascia di tasse più alta e si paga una percentuale maggiore.

Il Fiscal Drag è esattamente questo: un drenaggio silenzioso, come un piccolo buco nel portafoglio, che sposta i soldi dal lavoratore allo Stato. Lo Stato incassa di più, e il lavoratore ha meno soldi veri per comprare le cose. Non è un'anomalia italiana; è comune in tutti i paesi che usano questa scala delle tasse in presenza di inflazione. L'OCSE chiama questo meccanismo "tax by stealth", che significa "tassa occulta" o nascosta.

Molti paesi nel mondo, per non far subire questo "drenaggio" ai loro cittadini, hanno una specie di regola magica: aggiustano la "scala delle tasse" automaticamente quando i prezzi salgono. Questa operazione si chiama indicizzazione. Su 38 paesi ricchi, ben 18 lo fanno in automatico. L'Italia, invece, è uno dei 20 paesi che non ha questa regola automatica per l'Irpef (la principale tassa sui redditi) e per i benefici sociali. La cosa ancora più sorprendente è che, mentre altri paesi che non avevano la regola automatica, davanti all'inflazione alta, hanno deciso di agire lo stesso per non danneggiare i cittadini, l'Italia è rimasta quasi l'unica (insieme a Spagna, Malta e Cipro) a non aggiustare quasi nulla.

Se l'Italia decidesse un giorno di aggiustare la "scala delle tasse" in automatico, dovrebbe decidere a cosa agganciarla. La scelta è tra agganciarla all'aumento dei prezzi (l'inflazione) o all'aumento degli stipendi (salari). La cosa più giusta e corretta è guardare di quanto sono aumentati i prezzi e alzare i gradini della scala di quella stessa percentuale. Il Fiscal Drag, infatti, misura proprio le tasse in più che paghi a causa dell'aumento dei prezzi, non dei salari. Solo una piccolissima minoranza di paesi usa l'andamento dei salari, ma lo fa per contenere la spesa pubblica, non perché sia la cosa più equa. Se si usasse il metro dei salari, la compensazione sarebbe troppo piccola, perché gli stipendi crescono molto più lentamente dei prezzi. Per capirlo, basta pensare alle pensioni: vengono aggiustate in base all'aumento dei prezzi; se lo facessero in base ai salari, i pensionati perderebbero tantissimo potere d'acquisto nel tempo. Agganciare ai prezzi è l'unico modo per mantenere il potere d'acquisto.

DI QUANTI SOLDI SI PARLA?

La Banca Centrale Europea ha calcolato che, tra il 2019 e il 2023, i cittadini italiani hanno pagato circa 25 miliardi di euro di Irpef in più solo per l'effetto di questo drenaggio fiscale. Se la stessa stima fosse stata fatta usando l'aumento dei salari, la cifra sarebbe stata molto più bassa (circa 12 miliardi), confermando che il deflatore giusto è quello dei prezzi. E, attenzione, 25 miliardi è una stima per difetto, perché non tiene conto del fatto che i redditi bassi hanno perso l'accesso ad alcuni aiuti sociali legati a soglie fisse, e che i redditi alti hanno pagato di più attraverso le tasse locali aggiuntive.

QUANTO E’ STATO RESTITUITO SOTTO FORMA DI RIDUZIONE DELLA PRESSIONE FISCALE?

Quindi, assodato che sono circa 25 miliardi, la domanda è: lo Stato ha restituito tutti questi soldi ai cittadini con riduzioni fiscali? Se si considerano tutte le riduzioni fatte dai governi Draghi e Meloni, si arriva a 25 miliardi, ma c'è una forte disparità: quasi tutte queste riduzioni sono andate ai redditi più bassi (sotto i 35.000 euro annui), mentre i redditi più alti e il ceto medio hanno pagato il Fiscal Drag senza avere grandi compensazioni. Per il ceto medio, quindi, le riduzioni delle tasse di cui si parla spesso in realtà non sono una vera "manna dal cielo", ma semplicemente il rimborso parziale di ciò che il Fiscal Drag aveva già tolto.

Infine, c'è un discorso serio da fare, ovvero che molti considerano normale o anche "giusto" che lo Stato incassi il Fiscal Drag e poi scelga lui a chi restituire quei soldi, o se usarli per ridurre il debito o aumentare le spese. In fondo, 20 paesi su 38, come l'Italia, non indicizzano automaticamente. Ma si sappia che il Fiscal Drag è assente solo finché l'inflazione è bassa, come è successo negli ultimi 30 anni, ma quando l'inflazione si alza produce un aumento meccanico della pressione fiscale e garantisce un gettito importante allo Stato. La stessa cosa accadrà se l'inflazione dovesse rialzare la testa in futuro.

CONCLUSIONE

Il Fiscal Drag è un meccanismo che, in caso di inflazione, aumenta meccanicamente la pressione fiscale e garantisce un gettito significativo allo Stato. In Italia questo aumento è a spese del reale potere d'acquisto dei lavoratori individuabile tra il ceto medio.