Per molti anni si è ritenuto che il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (ADHD) fosse un problema esclusivamente infantile, ma oggi sappiamo con certezza che una parte significativa delle persone continua a presentare sintomi anche in età adulta.
ADHD negli adulti, i numeri reali e perché la diagnosi arriva spesso troppo tardi
Una delle stime più attendibili, prodotta dall’American Psychiatric Association e da analisi epidemiologiche consolidate, indica che circa il 2,5% degli adulti presenta un quadro di ADHD persistente. Questa cifra rappresenta una media stabile riportata negli anni e confermata da studi successivi, senza forti oscillazioni. Parallelamente, il CDC statunitense - sulla base di rilevazioni recenti - riporta che circa il 6% degli adulti negli Stati Uniti dichiara una diagnosi di ADHD: un dato affidabile perché deriva da indagini campionarie ufficiali, rappresentative della popolazione nazionale. Ciò suggerisce che molti adulti scoprono il disturbo solo più tardi nella vita, spesso dopo anni di difficoltà non riconosciute.
La persistenza dei sintomi non implica che l’ADHD si manifesti nello stesso modo dell’infanzia: nell’adulto l’iperattività motoria tende a ridursi, mentre diventano più evidenti disattenzione, difficoltà organizzative, impulsività, problemi nella gestione del tempo e della motivazione, oltre alla frequente disregolazione emotiva. Questi elementi possono confondersi con stress, ansia o disturbi dell’umore, motivo per cui la diagnosi viene spesso ritardata.
La diagnosi nell’adulto segue criteri molto precisi, stabiliti dal DSM-5, lo standard internazionale riconosciuto. Per essere posta, devono essere presenti almeno cinque sintomi di disattenzione e/o iperattività-impulsività, persistenti per almeno sei mesi, in misura tale da interferire con la vita quotidiana. È inoltre necessario dimostrare che alcuni sintomi fossero presenti prima dei dodici anni, anche tramite ricordi, testimonianze familiari o documenti scolastici.
La valutazione deve includere un colloquio clinico strutturato, la raccolta della storia di vita, scale standardizzate e, quando possibile, informazioni da persone che conoscono bene il paziente. La diagnosi può essere formulata solo da professionisti abilitati (psichiatri, neuropsichiatri, psicologi clinici con competenze specifiche), poiché richiede la distinzione rispetto ad ansia, depressione, disturbi di personalità, dipendenze e altre condizioni che possono simulare o mascherare l’ADHD.
Una diagnosi corretta può aprire la strada a trattamenti efficaci, che migliorano in modo significativo qualità della vita, funzionamento lavorativo e relazioni.