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L’Italia senza figli, l’inverno demografico che congela il futuro

 
L’Italia senza figli, l’inverno demografico che congela il futuro
di Katrin Bove

I dati ISTAT sul calo delle nascite nel 2024 e 2025 confermano la crisi strutturale del Paese. Gigi De Palo (Fondazione per la Natalità): “Senza figli non c’è futuro”. A novembre a Roma la quinta edizione degli Stati Generali della Natalità per discutere come cambiare il Paese.

C’è un’Italia che si spegne lentamente, senza rumore. Un’Italia che non discute abbastanza del suo futuro perché troppo impegnata a inseguire emergenze quotidiane. Eppure, il vero allarme - quello che dovrebbe scuotere la politica, l’economia e la società intera - è nei numeri diffusi oggi dall’ISTAT: nel 2024 sono nati meno di 370 mila bambini, con un calo del 2,6% rispetto all’anno precedente. Le stime per il 2025 peggiorano ulteriormente il quadro, segnando una flessione del 6,3%.

Un dato che racconta più di qualunque analisi economica o discorso elettorale: l’Italia non sta più rimpiazzando se stessa. La popolazione invecchia, i giovani faticano a costruire un progetto di vita, e la parola “famiglia” sembra appartenere più al linguaggio delle cerimonie istituzionali che alle politiche concrete.

“Senza figli non c’è futuro”: l’allarme di Gigi De Palo

A commentare il rapporto è Gigi De Palo, presidente della Fondazione per la Natalità, che con lucidità e una certa amarezza ricorda:

“I dati diffusi oggi dall’Istat confermano la profonda crisi demografica che l’Italia sta attraversando. Non è più un segnale isolato, ma un trend che mette a rischio la sostenibilità sociale ed economica della nostra nazione.”

De Palo parla di “inverno demografico”, un’espressione che fotografa perfettamente il gelo che attraversa le culle italiane. Perché se è vero che la crisi economica scoraggia i giovani, è altrettanto vero che manca un orizzonte culturale che restituisca valore alla genitorialità.
La nascita di un figlio non può essere considerata un lusso o un rischio, ma un atto di fiducia nel futuro - e oggi quella fiducia sembra essere evaporata.

Un Paese che non investe nel futuro

Nel 2008 l’Italia contava oltre 570 mila nascite. In poco più di quindici anni, il numero si è ridotto di quasi 200 mila unità. Non è un declino fisiologico, ma un collasso generazionale.
Ogni anno che passa si restringe la base della piramide sociale: meno bambini significa meno studenti, meno lavoratori, meno contribuenti, meno possibilità di sostenere il welfare e le pensioni di domani.

Dietro queste cifre si nasconde una realtà fatta di lavori precari, stipendi bassi, affitti insostenibili e un sistema di servizi per l’infanzia ancora insufficiente. Ma anche una crisi culturale: la genitorialità non è più sostenuta, né socialmente né simbolicamente.
In altri Paesi europei, dove il tasso di natalità è in risalita, le politiche familiari sono diventate un pilastro di sviluppo economico: Francia e Germania investono in congedi retribuiti, bonus per i secondi figli, sostegni alle madri lavoratrici e nidi diffusi sul territorio. In Italia, invece, l’aiuto resta frammentato e disomogeneo, affidato più al caso che a una strategia di sistema.

“Cambiare Paese o cambiare il Paese?”

Proprio a partire da questa urgenza, la Fondazione per la Natalità ha scelto come titolo della quinta edizione degli Stati Generali della Natalità - in programma il 27 e 28 novembre 2025 all’Auditorium della Conciliazione di Roma - una domanda provocatoria: “Cambiare Paese o cambiare il Paese?”

Un interrogativo che racchiude la scelta davanti alla quale siamo tutti chiamati: fuggire da un’Italia che non garantisce più un futuro, o rimboccarsi le maniche per costruirne uno nuovo.

L’evento, ormai un punto di riferimento nazionale, riunirà istituzioni, imprese, economisti, sociologi e rappresentanti della società civile, per confrontarsi su misure concrete in grado di invertire la rotta. Non un convegno di buone intenzioni, ma un luogo di proposte operative.
L’obiettivo è chiaro: trasformare la natalità da problema a priorità politica e culturale, restituendole il ruolo di “bene comune” che riguarda tutti, non solo le famiglie con figli.

Un’urgenza che tocca tutti

Il declino demografico non è una questione “da sociologi”. È una bomba a orologeria che riguarda la crescita del Paese, la tenuta del sistema pensionistico, la produttività delle imprese, la qualità della vita nelle città, la stessa identità culturale italiana.
In un contesto globale in cui la concorrenza demografica è sempre più strategica, l’Italia rischia di perdere peso politico ed economico, oltre che capitale umano.

Ecco perché parlare di natalità non significa guardare nostalgicamente al passato, ma ripensare il modello di sviluppo.
Come ricorda De Palo, “senza figli non c’è futuro”: non c’è scuola, non c’è lavoro, non c’è innovazione che possa sopravvivere senza nuove generazioni pronte a raccogliere il testimone.

Un impegno collettivo

Serve una rivoluzione culturale che coinvolga tutti - istituzioni, imprese, media e cittadini - e che riporti il tema della famiglia al centro del dibattito pubblico.
Non bastano bonus una tantum o misure spot: serve un patto nazionale per la natalità, una visione di lungo periodo che premi chi decide di investire nella vita.

Perché un Paese che non genera più figli non è solo un Paese che invecchia, ma un Paese che rinuncia a sperare.
E la speranza, come la vita, va coltivata ogni giorno - anche con le politiche giuste.