Nel 2024 meno di 370mila nati: -2,6% in un anno. I primi dati 2025 confermano il peggioramento. Fecondità ferma a 1,18 figli per donna, e solo 1,11 tra le italiane. Il declino demografico si accelera e minaccia crescita, welfare e coesione sociale.
L’Italia entra in una nuova fase della sua crisi demografica. Nel 2024 le nascite sono state 369.944, quasi 10mila in meno rispetto al 2023 (-2,6%), secondo l’ultimo rapporto ISTAT sulla natalità e fecondità.
Un dato che, oltre a confermare una tendenza ventennale, disegna un futuro preoccupante: dal 2008 il Paese ha perso oltre 207mila nati, pari a una contrazione del 35,8%. Il tasso di natalità è sceso a 6,3 per mille residenti, il valore più basso mai registrato dall’Unità d’Italia.
Fecondità ai minimi e primi segnali di ulteriore calo nel 2025
Il numero medio di figli per donna (TFR) si è attestato nel 2024 a 1,18, contro l’1,20 del 2023. Tra le donne italiane il valore scende ancora, a 1,11 figli per donna.
I dati provvisori dei primi sette mesi del 2025 indicano 197.956 nati, circa 13mila in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (-6,3%). La fecondità stimata per il 2025 si avvicina quindi a 1,13 figli per donna, evidenziando una tendenza ancora in discesa.
Chi fa meno figli: i genitori italiani e i primogeniti
La diminuzione delle nascite riguarda quasi esclusivamente le coppie con entrambi i genitori italiani: 289.183 nati nel 2024, con un calo del 3,3% rispetto al 2023.
Le nascite da coppie con almeno un genitore straniero, pari al 21,8% del totale, restano pressoché stabili e rappresentano oggi un importante fattore di compensazione demografica.
Anche i primogeniti sono in diminuzione: 181.487 nel 2024 (-2,7%), con un calo più marcato nel Mezzogiorno. La rinuncia al primo figlio è uno dei segnali più gravi del cambiamento culturale e socioeconomico in corso.
L’età delle madri continua a salire
L’età media al parto è salita a 32,6 anni, mentre quella al primo figlio ha raggiunto 31,9 anni. La progressiva posticipazione della maternità riduce inevitabilmente la possibilità di avere più figli, accentuando la discesa della fecondità complessiva.
Le cause sono note: precarietà del lavoro, difficoltà ad accedere alla casa, carenza di servizi per l’infanzia e tempi lunghi di ingresso nella vita adulta.
Le differenze territoriali: il Mezzogiorno perde di più
Il calo delle nascite riguarda tutte le aree del Paese, ma in modo diseguale. Nei primi sette mesi del 2025 il calo è più accentuato nel Centro (-7,8%) e nel Mezzogiorno (-7,2%), mentre il Nord registra un -5,0%.
Sul fronte della fecondità, la Provincia autonoma di Bolzano/Bozen mantiene il valore più alto (1,51), mentre la Sardegna conferma il primato negativo (0,91).
Nuove forme familiari e trasformazioni sociali
Nel 2024 il 43,2% dei bambini è nato fuori dal matrimonio, una quota in aumento che riflette i mutamenti nei modelli familiari. Cresce anche la diffusione del doppio cognome, scelto per il 6,7% dei nati, più frequente nel Centro-Nord.
Sono segnali di una società in trasformazione, dove le forme di genitorialità cambiano, ma la propensione a mettere al mondo figli continua a ridursi.
Le cause strutturali del declino
Secondo l’ISTAT, il crollo della natalità è il risultato di un insieme di fattori demografici e sociali:
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Generazioni più piccole in età fertile, nate dopo il baby boom;
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Bassa propensione alla genitorialità, influenzata da incertezza economica e culturale;
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Ritardo nei percorsi di autonomia, con giovani adulti che entrano tardi nel lavoro stabile e nella vita di coppia;
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Politiche familiari frammentate e spesso concentrate su incentivi economici temporanei.
La fecondità di coorte mostra che le generazioni nate dopo gli anni Quaranta hanno prodotto progressivamente meno figli, un fenomeno che oggi si autoalimenta.
Un futuro da riscrivere: la demografia come priorità politica
L’Italia è ben al di sotto della soglia di sostituzione generazionale (2,1 figli per donna) da oltre quarant’anni. Le conseguenze sono già visibili: scuole che chiudono, carenza di forza lavoro giovane, squilibri nel sistema pensionistico e nel welfare.
Il rischio è quello di un Paese che invecchia più rapidamente di quanto riesca a rigenerarsi.
L’ISTAT invita a leggere i numeri non come un destino, ma come una conseguenza delle condizioni di vita. Servono politiche integrate — casa, lavoro, welfare, scuola — capaci di rendere la scelta di avere figli possibile e sostenibile.
Il tema non riguarda solo la demografia, ma la tenuta economica, sociale e culturale del Paese.
Un invito alla riflessione
Come può un Paese che desidera crescere accettare di diventare sempre più piccolo?
Gli incentivi economici, da soli, non bastano. La vera sfida è restituire fiducia nel futuro, garantendo servizi diffusi, stabilità e parità di opportunità.
Solo così la natalità potrà tornare a essere non un atto di coraggio individuale, ma una scelta sostenuta da una società che crede nel proprio domani.