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L'IA usata per creare immagini di "poveri" e aiutare le campagne fondi delle Ong

 
L'IA usata per creare immagini di 'poveri' e aiutare le campagne fondi delle Ong
Redazione

C'è un limite nello sforzo delle Ong per indurre la gente a donare per sostenere economicamente le loro campagne a favore di chi soffre? Si potrebbe dire di no, perché, come dice il proverbio, è il fine a giustificare come esso sia raggiunto.

L'IA usata per creare immagini di "poveri" e aiutare le campagne fondi delle Ong

C'è però un risvolto che sta creando clamore, ed è quello del ricorso all'intelligenza artificiale per creare immagini di persone che soffrono la fame, la povertà, le violenze. Immagini in cui la ricerca dell'aspetto emozionale è accuratissima, caricando, nella definizione virtuale di una persona, quegli elementi fisici che, si sa per esperienza, colpiscono di più chi guarda.

Magari predisponendolo ad essere più generoso, ad attingere in modo più massiccio alle proprie finanze per tendere concretamente la mano a chi soffre.
Quindi, una operazione per finalità lodevoli, ma che ha lo stigma dell'artificiosità perché quelle persone che vengono ritratte più vulnerabili e più povere nella realtà non esistono, quei volti scavati dalla fame non sono reali, quelle lacrime che rigano i volti sono create con un colpo di mouse.

Ci troviamo di fronte quindi ad un salto di qualità (sempre se si possa parlare di qualità, basandosi su una menzogna, seppure a fin di bene) delle campagne per la raccolta di fondi, grazie alle quali i social vengono letteralmente invasi da foto e filmati per quella che ormai viene definita alla stregua di una "pornografia della povertà".

Il numero delle Ong che fanno ricorso ad immagini virtuali sta crescendo e molte sono quelle che sperimentano questa possibilità.
Arsenii Alenichev, ricercatore presso l'Istituto di Medicina Tropicale di Anversa che studia la produzione di immagini sulla salute globale, ha dichiarato a The Guardian: "Le immagini replicano la grammatica visiva della povertà: bambini con piatti vuoti, terra screpolata, immagini stereotipate".

Il fenomeno è talmente vasto che Alenichev ha raccolto un dossier contenente più di 100 immagini di povertà estrema generate dall'intelligenza artificiale e utilizzate da individui o ONG come parte di campagne sui social media contro la fame o la violenza sessuale.

Tra le immagini raccolte dall'analisti c'è l'intero campionario di quello che la gente pensa sia la condizione di chi soffre e, su questo presupposto, i loro creatori pigiano il piede sull'acceleratore della pietà ''indotta''.
Quindi, se devi chiedere soldi, ricorri a tutti gli stereotipi, per mostrare quel che la gente si aspetta: bambini rannicchiati nell'acqua fangosa; una ragazza africana in abito da sposa con una lacrima che le macchia la guancia; anziani con la barba lunga; le valige che simboleggiano la condizione di chi deve abbandonare la sua terra; un libro stretto tra le mani di un bambino o una bambina con i piedi infilati nel fango, sotto il precario riparo di un telo tenuto su alla bell'e meglio; il viso tumefatto di una ''sposa bambina'' che ha cercato di ribellarsi al suo destino.

E da qui viene anche una considerazione meramente economica, perché costa molto meno creare una immagine, e caricarla di ''effetti speciali'', che non scattare foto o girare video nei luoghi del dolore, per i quali superare anche piccoli intoppi burocratici e magari chiedere l'aiuto a qualche autorità locale.

In rete i siti o i servizi che offrono un book del dolore, sia pure artificiale, si stanno affermando e il costo di un paio di fotografie, in termini di licenza alla loro pubblicazione, è relativamente basso, nell'ordine di un centinaio di euro, con tanto di indice dei soggetti. Quindi, se ho in corso una campagna per la raccolta di fondi per un Paese dell'Asia, basta un semplice click e posso scegliere l'immagine che più è funzionale alla mia campagna. Con tanti saluti al fatto che le immagini sono create attingendo a piene mani agli stereotipi basati sulla razza o la religione.

Ma non sono solo le Ong a attingere al mondo del virtuale. Lo ha fatto anche l'Onu, appena lo scorso anno, che per sensibilizzare sulle violenze in alcuni Paesi dell'Africa subsahariana, ha fatto ricorso ad un video totalmente artificiale in cui una donna raccontava le violenze subite e come era stata lasciata morire durante la guerra civile in Burundi. Il video è stato poi rimosso, con le Nazioni Unite che hanno ribadito la loro fermezza ''nell'impegno a sostenere le vittime di violenza sessuale legata ai conflitti, anche attraverso l'innovazione e la difesa creativa".