Il 29 dicembre 1925 moriva a Milano Anna Kuliscioff, una delle figure più radicali, complesse e decisive della storia politica italiana tra Otto e Novecento. A cento anni dalla sua scomparsa, ricordarla non significa indulgere in una commemorazione rituale o limitarsi a una citazione di circostanza. Significa tornare a interrogare il cuore del socialismo italiano e il nodo, ancora irrisolto, dell’emancipazione femminile come questione strutturale di giustizia sociale.
Anna Kuliscioff, il centenario di una coscienza socialista
Kuliscioff è stata molto più della “signora del socialismo” o della “dottora dei poveri”. È stata una mente politica lucida, una militante rigorosa, una teorica capace di cogliere prima di molti altri l’intreccio profondo tra dominio patriarcale e diseguaglianza economica. La sua presenza nel movimento socialista italiano non fu accessoria né simbolica, fu fondativa. Partecipò alla nascita del Partito dei Lavoratori Italiani a Genova nel 1892, poi divenuto Partito Socialista Italiano, contribuendo in modo decisivo a orientarne la linea riformista, sociale e democratica.
Quando Kuliscioff entra sulla scena politica, il socialismo italiano è ancora un arcipelago frammentato di esperienze, attraversato da tensioni tra rivoluzionarismo e riformismo. È il tempo di Andrea Costa, primo parlamentare socialista della storia d’Italia, simbolo del tentativo di portare il socialismo dentro le istituzioni senza snaturarne la carica etica. Ma è soprattutto con Filippo Turati che Kuliscioff costruisce il sodalizio politico e intellettuale più profondo, non solo una relazione privata, ma un’alleanza strategica che segna il socialismo italiano di fine Ottocento.
Attorno a loro prende forma una corrente riformista che rifiuta il massimalismo sterile e punta a trasformazioni concrete, lavoro e istruzione, diritti sociali e condizione femminile. Il cuore di questa elaborazione è soprattutto editoriale e teorico. Critica Sociale, fondata e diretta da Anna Kuliscioff insieme a Filippo Turati, diventa il vero laboratorio del socialismo riformista italiano: uno spazio di analisi, confronto e proposta politica, in cui la questione femminile è affrontata come nodo strutturale della giustizia sociale. Kuliscioff vi esercita un ruolo centrale, denunciando senza ambiguità le contraddizioni di un socialismo che proclama l’uguaglianza ma fatica a riconoscere le donne come soggetti politici autonomi.
È proprio su Critica Sociale che Kuliscioff pubblica uno dei testi più lucidi e radicali del femminismo europeo, Il monopolio dell’uomo. In quelle pagine smonta l’idea che la subordinazione femminile sia naturale, mostrando come sia invece il prodotto storico di un’organizzazione sociale ed economica costruita a misura maschile. Il “monopolio” non riguarda solo il potere politico, ma attraversa il lavoro, la famiglia, l’istruzione, l’accesso alle risorse e all’autodeterminazione. La sua non è una denuncia morale astratta, ma un’analisi materialista e storica della condizione femminile.
Kuliscioff anticipa una visione che oggi definiremmo intersezionale, la liberazione delle donne non può essere separata dalla trasformazione delle strutture economiche e sociali. Per lei, l’emancipazione femminile non è una questione accessoria, ma una cartina di tornasole della giustizia sociale. È per questo che lega la battaglia per il diritto di voto, per la parità salariale, per la tutela del lavoro femminile e minorile alla più ampia lotta contro lo sfruttamento capitalistico. La sua azione contribuisce alle campagne che porteranno alla legge del 1902, una delle prime forme di protezione del lavoro di donne e minori in Italia.
Non mancarono i contrasti, anche all’interno del movimento emancipazionista. Kuliscioff si oppose a quelle correnti che vedevano nel socialismo una distrazione rispetto alla “questione femminile”. Al contrario, sostenne che senza la piena partecipazione delle donne alla vita economica, politica e sociale non può esistere alcuna vera uguaglianza. La redenzione della donna non è un fatto individuale o simbolico, ma un processo collettivo che passa dalla trasformazione dei rapporti di potere.
Oggi, nel 2025, il suo pensiero torna a interrogare il presente con una forza disarmante. Il gender gap salariale, la sottorappresentazione delle donne nei luoghi decisionali, il peso sproporzionato del lavoro di cura, la persistenza di stereotipi e violenze strutturali mostrano quanto il “monopolio dell’uomo” denunciato da Kuliscioff sia tutt’altro che superato. Le sue parole aiutano a leggere le diseguaglianze contemporanee non come residui del passato, ma come effetti di strutture ancora attive.
Anna Kuliscioff è stata una protagonista del socialismo italiano, ma soprattutto una coscienza critica capace di andare oltre il suo tempo. Celebrare il centenario della sua morte non significa guardare indietro con nostalgia, ma assumere una responsabilità: riconoscere che molte delle sue battaglie restano aperte. E che non esiste emancipazione femminile senza giustizia sociale, né democrazia compiuta finché metà della società resta subordinata.
