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BENEDETTO XVI AVEVA RAGIONE: LA PROFEZIA DI RATISBONA E LA SFIDA ALL’ISLAM TRE ANNI DOPO LA SCOMPARSA

 
BENEDETTO XVI AVEVA RAGIONE: LA PROFEZIA DI RATISBONA E LA SFIDA ALL’ISLAM TRE ANNI DOPO LA SCOMPARSA
di Luca Lippi

Sono trascorsi tre anni da quel giorno in cui Joseph Ratzinger ha terminato il suo cammino tra noi, lasciandoci un’eredità che, col passare del tempo, appare sempre più come una bussola necessaria in un mare in tempesta. Mentre rileggo i capitoli del mio libro ancora inedito – pagine che custodiscono la memoria viva dei nostri incontri e il soffio di quella che fu la nostra ultima confessione – sento ancora l’eco della sua voce, così mite ma allo stesso tempo così ferma nel testimoniare la Verità.

Benedetto XVI, tre anni dopo: Ratisbona non fu uno scandalo ma una profezia rimasta inascoltata

Oggi, nel ricordarlo, è impossibile non tornare a quel 2006, nell'aula dell'Università di Ratisbona. Molti lo hanno descritto come un momento di scontro, ma chi, come me, ha avuto il privilegio di ascoltare il battito del suo cuore teologico, sa che Benedetto non voleva alzare muri, ma gettare ponti di autentica razionalità. In quella famosa lectio magistralis, citando l’imperatore Manuele II Paleologo, Ratzinger mise il dito nella piaga di un problema ancora apertissimo: il rapporto tra fede e violenza.

Il suo ragionamento era di una semplicità disarmante, tipica dei grandi saggi: se Dio è Logos – cioè Ragione – agire contro la ragione significa agire contro la natura stessa di Dio. Per Benedetto, il dramma di certa parte dell'Islam risiede proprio in questo distacco tra la fede e il lume della ragione. Una separazione che, purtroppo, apre la porta alla giustificazione della forza come strumento di proselitismo.

Ricordo bene lo sguardo di Benedetto quando si parlava delle reazioni furiose che seguirono quel discorso. Non c’era ombra di pentimento nei suoi occhi, solo una profonda malinconia per essere stato frainteso. Come ha spesso ricordato il cardinale Gerhard Ludwig Müller, che quel giorno a Ratisbona gli sedeva accanto, il Papa non aveva mai voluto offendere, ma solo indicare una strada di guarigione. Eppure, il mondo preferì fermarsi a una citazione isolata, trasformando un invito al dialogo in un atto d'accusa. Mentre le piazze bruciavano e martiri come suor Leonella Sgorbati pagavano col sangue l’odio altrui, la solitudine di Ratzinger si faceva abissale.

Anche l’Europa, la sua amata Europa, lo lasciò solo. Le istituzioni si girarono dall'altra parte e la politica rispose con freddezza, quasi con fastidio. Ma Benedetto non era un "crociato" fuori tempo massimo; era un profeta che chiedeva onestà. Chiedeva quella "reciprocità" che ancora oggi manca: perché i cristiani nei Paesi islamici non possono godere della stessa libertà che noi garantiamo ai musulmani in Occidente?

Già nel 1979, quando era ancora cardinale, egli aveva avvertito che nell'Islam la fede non è separabile dalla legge civile e dal diritto, una fusione che rende estremamente complessa la compatibilità con le società democratiche nate dalla tradizione greco-romana e giudaico-cristiana.

Oggi, nel terzo anniversario della sua scomparsa, il messaggio di Benedetto XVI risuona come un’esortazione urgente per tutti noi. Non dobbiamo avere paura della verità, anche quando è scomoda. Non dobbiamo rinunciare a usare la ragione nel dialogo con l’altro. Benedetto ci ha insegnato che solo una fede che non rinuncia a pensare può davvero salvare l'uomo dalla tentazione della violenza.

Nelle ultime confidenze che ho avuto la grazia di ricevere da lui, e che spero di poter condividere presto nel mio prossimo volume, emergeva proprio questo: la speranza che la Chiesa e l’Occidente ritrovino il coraggio di essere se stessi, senza complessi di inferiorità, ma con la forza mite di chi sa di poggiare i piedi sulla roccia del Logos.

Caro Benedetto, oggi la tua voce ci manca, ma il tuo pensiero continua a illuminare il sentiero. Sta a noi, ora, non lasciar cadere la tua lezione e continuare a gridare che Dio è amore, e l’amore non cammina mai senza la ragione.