Gli esperti avvertono: senza cambiamenti nei sistemi sanitari e nella società, i progressi terapeutici rischiano di restare inaccessibili
L’approvazione dei nuovi anticorpi monoclonali contro l’Alzheimer – lecanemab e donanemab – insieme allo sviluppo di test diagnostici sul sangue, segna l’inizio di una nuova era nella diagnosi e nel trattamento della malattia. Tuttavia, senza rapide riforme nei sistemi sanitari, nelle politiche pubbliche e negli atteggiamenti sociali, il loro potenziale non sarà pienamente realizzato. È quanto sostengono 40 tra i maggiori esperti internazionali di Alzheimer nella nuova Series pubblicata su The Lancet.
L’Alzheimer: la forma più comune di demenza
La malattia di Alzheimer rappresenta circa il 70% di tutti i casi di demenza ed è una delle principali cause di disabilità a livello globale, con enormi costi economici e sociali.
Secondo The Lancet, i nuovi farmaci a base di anticorpi monoclonali riescono a rallentare la progressione della malattia con un’efficacia paragonabile a quella di terapie già consolidate per altre patologie croniche, come il cancro, l’artrite reumatoide e la sclerosi multipla.
Ad esempio, i dati evidenziano:
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Lecanemab: riduzione della progressione dell’8%;
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Donanemab: riduzione della progressione del 10%;
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Terapie oncologiche: fino al 32%.
Gli autori avvertono però che le differenze legate all’età dei pazienti, agli esiti clinici e agli effetti collaterali rendono questi confronti da interpretare con cautela.
Ostacoli tra costi e risorse limitate
Nonostante i risultati incoraggianti, la diffusione di queste terapie è minacciata da diversi fattori:
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costi elevati dei farmaci;
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necessità di test diagnostici complessi;
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cure insufficienti per i sintomi comportamentali;
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sottodimensionamento delle risorse sanitarie dedicate.
Il rischio, avvertono gli esperti, è che i pazienti con Alzheimer restino indietro rispetto ad altre aree della medicina che hanno già beneficiato di innovazioni simili.
La prevenzione come chiave di futuro
Oltre ai farmaci, stanno emergendo approcci innovativi di Brain Health Services, che identificano i soggetti ad alto rischio e li inseriscono in programmi di prevenzione personalizzati. Tuttavia, la maggior parte dei casi di Alzheimer insorge in persone con rischio basso o normale: ciò rende indispensabili strategie di salute pubblica su larga scala, come la promozione di città più sane e le limitazioni al consumo di alcol e bevande zuccherate.
La richiesta di un’azione globale
Gli autori chiedono una risposta coordinata a livello internazionale, affinché il ritmo rapido dei progressi scientifici sia accompagnato da riforme nei sistemi sanitari e nelle politiche sociali.
Il Professor Giovanni Frisoni, Università di Ginevra e autore principale della Series, sottolinea:
«Blood tests, biological drugs for Alzheimer's disease, and prevention interventions are propelling care into entirely new and exciting territory. However, the old needs of patients will not disappear. On the contrary, more general practitioners and dementia specialists will need to master the less glamorous but steady advances made in the past few decades in the care and treatment of behavioural disorders, the use of sophisticated diagnostic imaging and laboratory tools, and psychosocial care. A concerted societal effort in this direction will enable our current and future patients to benefit fully from the potential of scientific and technological advances».
La pubblicazione di The Lancet segna un punto di svolta: la scienza offre strumenti senza precedenti per rallentare l’Alzheimer, ma solo un cambio di paradigma sanitario e sociale potrà renderli accessibili e realmente efficaci. La sfida non riguarda solo i farmaci, ma il modo in cui le società scelgono di affrontare una delle malattie più impattanti del nostro tempo.