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LA MANOVRA DI GIORGETTI: PRUDENZA, RIGORE E CONTINUITÀ

 
LA MANOVRA DI GIORGETTI: PRUDENZA, RIGORE E CONTINUITÀ
di Luca Lippi

Manovra da circa 18 miliardi tra rigore contabile e continuità, senza scossoni: il focus di Giancarlo Giorgetti su rientro dalla procedura UE, debito e flat tax.

LA MANOVRA DI GIORGETTI: PRUDENZA, RIGORE E CONTINUITÀ

La manovra economica è stata presentata in conferenza stampa da Giorgia Meloni, Giancarlo Giorgetti, Antonio Tajani e Matteo Salvini. Dopo pochi minuti, però, tutti hanno lasciato la sala, lasciando Giorgetti da solo a illustrare il provvedimento.
Si tratta di una manovra da circa 18 miliardi di euro, che sostanzialmente mantiene il Paese a galla, senza scossoni, senza entusiasmi e senza infamia.
È una legge di bilancio magra, ma coerente: la più prudente degli ultimi anni.
Il fatto che Giorgetti sia rimasto solo a presentarla è significativo. È lui il vero autore della manovra, e pare che abbia avuto forti scontri con altri ministeri per imporre tagli e disciplina. Il suo obiettivo è chiaro: portare rapidamente l’Italia fuori dalla procedura di infrazione europea, e questo è un obiettivo più che condivisibile.
È necessario ripulire i conti pubblici e recuperare una certa serietà nella gestione del bilancio. Giorgetti, pur rappresentando la Lega e facendo parte di un governo che avrebbe pulsioni più espansive, sta imponendo silenziosamente una linea di rigore che all’inizio del governo Meloni era difficile immaginare.

TRE LEGGI DI BILANCIO, TRE PROVE DI PRUDENZA

Questa è la terza manovra del governo Meloni, e ciascuna è stata più cauta della precedente. La prima fu limitata dall’eredità dei governi precedenti; la seconda ha introdotto il taglio del cuneo fiscale; ora, con la terza, si prosegue su quella linea di prudenza.
Le cosiddette “misure di bandiera” — come l’estensione della flat tax — restano strumenti di consenso più che di riforma.

UNA PRECISAZIONE

La flat tax è spesso fraintesa. Innanzitutto, non è una “tassa” ma un’imposta, cioè un prelievo obbligatorio senza un uso specifico dei fondi raccolti. Non è nemmeno davvero “piatta”: piatta è solo l’aliquota, che in teoria resta uguale per tutti, ma nella pratica è corretta da deduzioni e detrazioni che la rendono di fatto progressiva, come richiede la Costituzione.
L’articolo 53 della Costituzione impone la progressività all’intero sistema tributario, non a ogni singola imposta.
Eppure, paradossalmente, solo l’Irpef lo è davvero: altre imposte, come l’Iva, sono completamente proporzionali. Per questo, chi accusa la flat tax di incostituzionalità ignora che il resto del sistema funziona già così — e nessuno lo contesta.
In buona sostanza, si tampona, si galleggia, si cerca di mediare fra le richieste di Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia, scontentando un po’ tutti, ma mantenendo l’equilibrio. Il problema è che non si fa nulla di strutturale. L’Italia avrebbe bisogno di una riforma fiscale vera, radicale. Invece si continua a ritoccare aliquote, ad abbassare di due punti un’aliquota qui o là, come il passaggio dal 35 al 33 per cento per i redditi medi: misura giusta, ma marginale.
Il sistema fiscale italiano è malato nel suo complesso. E finché non si avrà il coraggio politico di riscriverlo da capo, continuerà a funzionare male, qualunque sia il governo in carica.

IL CONTESTO MACROECONOMICO E IL DEBITO PUBBLICO

Nel quadro generale, la manovra ha almeno il merito di non aumentare il disavanzo. Rispetto alle previsioni iniziali, non ci saranno nuovi scostamenti di bilancio. Secondo il Documento Programmatico di Bilancio, l’Italia dovrebbe uscire dalla procedura per deficit eccessivo nel 2026, con un ritorno al 3 per cento, e migliorare ancora nel 2027.
È un segnale positivo, anche sorprendente, considerando il contesto internazionale: guerre, dazi, tensioni commerciali e un deficit di competitività interno che non viene affrontato. Tuttavia il problema principale restano gli interessi sul debito pubblico, in crescita. Oggi spendiamo circa il 3,9 per cento del PIL, destinato a salire al 4,2 per cento.
Nonostante il governo celebri la riduzione dello spread, il punto non è il differenziale con il Bund tedesco: conta quanto paghiamo effettivamente. E oggi paghiamo di più, anche perché stanno scadendo i titoli decennali emessi a tassi bassi e vengono sostituiti con nuovi titoli a tassi più alti, di conseguenza, pur migliorando il deficit, il debito rimarrà elevato per almeno due anni.

IL NODO SUPERBONUS: UN’EREDITÀ PESANTE

E poi c’è il superbonusinqualificabile, pernicioso, folle -. Solo nel 2024 costerà 40 miliardi di euro, più del doppio della manovra stessa. Un disastro di lungo periodo, che continueremo a pagare anche nei prossimi anni. È assurdo che chi oggi invoca più spesa per la sanità o per la difesa — il principale responsabile del superbonus - non ricordi che proprio il superbonus ha sottratto risorse enormi a tutti gli altri capitoli di bilancio.

RESPONSABILITÀ POLITICA E TRASPARENZA

Forse sarebbe ora di introdurre una forma di responsabilità politica per danno erariale. Non si può pensare che chi ha prodotto buchi da centinaia di miliardi continui indisturbato la carriera. Un meccanismo di “radiazione politica” per chi propone misure economicamente insostenibili sarebbe, almeno moralmente, giusto.
Esistono organismi come la Ragioneria Generale dello Stato e l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, che già valutano i costi delle leggi. Basterebbe rendere obbligatoria la trasparenza dei costi anche nella comunicazione pubblica: quando un politico presenta un bonus o un incentivo, dovrebbe dire quanto costa, chi lo paga e dove si trovano le coperture. Solo così i cittadini potrebbero farsi un’idea reale e giudicare consapevolmente.

ROTTAMAZIONI, ACCISE E VECCHIE ABITUDINI

Durante l’estate si è parlato molto di rottamazione delle cartelle e “pace fiscale”. In realtà, la misura approvata è una semplice ridefinizione dei criteri di riscossione, che corregge gli errori della precedente “rottamazione quater”. È poco più che un’agevolazione per chi ha debiti iscritti a ruolo fino al 31 dicembre 2023, con rate bimestrali in nove anni.
Anche qui, si mettono toppe su un sistema che non funziona: il meccanismo della riscossione è farraginoso e inefficiente, e senza una riforma strutturale continuerà a generare problemi.
ANCORA PIÙ GROTTESCO È IL CAPITOLO ACCISE.
Gli stessi politici che anni fa giravano video promettendo di eliminarle oggi le aumentano, almeno sul diesel, per coprire i conti. Un déjà-vu della Prima Repubblica, insieme all’aumento delle tasse su tabacchi e carburanti. Dopo anni di proclami, si torna alle vecchie logiche: coperta corta, soluzioni di corto respiro.

CONCLUSIONE: UN SEI STIRACCHIATO

Alla fine, a questa manovra si può dare un voto solo: sei. Un sei di pura sopravvivenza. Meritato per la disciplina sui conti, ma insufficiente su tutto il resto. Certo, non c’è biasimo, le zavorre ereditate sono troppe e la platea elettorale tollera tutto ma non i sacrifici.
È una manovra che non fa danni, e in Italia già questo è un miracolo. Ma è anche una manovra che non costruisce niente: nessuna riforma, nessuna idea, nessuna direzione. Un governo che parla di “crescita” e “orgoglio nazionale”, ma che si muove come un ragioniere impaurito.
Un Paese che non osa, non innova, non cambia. E che continua a chiamare “prudenza” quello che in realtà è solo immobilismo travestito da responsabilità, anche se non potrebbe fare altrimenti.