STOP ALLA FRANCIA: L'ITALIA BLINDA GENERALI E TIM
C'è un filo conduttore che lega due grandi notizie appena arrivate dal mondo dell'economia italiana e riguarda il rapporto tra i nostri "gioielli di famiglia" e la Francia. Per anni abbiamo visto grandi gruppi stranieri entrare nelle nostre aziende, ma oggi il vento sembra cambiato. Sia per Generali (le assicurazioni) che per Tim (i telefoni), la direzione è chiara: le decisioni importanti devono restare in Italia e lo Stato, direttamente o indirettamente, sta tornando a fare la voce grossa per proteggere i nostri interessi.
Il passo indietro sull'accordo Generali
Partiamo dal caso di Generali, il famoso "Leone di Trieste" che custodisce i risparmi di tantissimi italiani. C'era in ballo un progetto per creare una nuova società insieme a una banca francese, Natixis, per gestire gli investimenti. Sulla carta doveva essere un accordo alla pari, un "cinquanta e cinquanta". Tuttavia, molti avevano capito che la realtà sarebbe stata diversa: i francesi avrebbero avuto in mano il vero comando.
Questo ha fatto scattare l'allarme. Da una parte c'erano i grandi azionisti italiani (come l'imprenditore Caltagirone) che da mesi dicevano che questo accordo era pericoloso e sbilanciato. Dall'altra c'era il Governo italiano, che pur senza alzare troppo la voce, aveva fatto capire di essere pronto a intervenire con i suoi poteri speciali per bloccare tutto se i nostri risparmi fossero finiti sotto il controllo estero.
Il risultato? Generali ha deciso di fermarsi. Non si tratta di un semplice incidente di percorso, ma di una scelta precisa per riportare la pace. Fermando l'operazione con i francesi, Generali ha accontentato sia il Governo che gli azionisti italiani. Il messaggio è semplice: va bene fare affari con l'Europa, ma se si tratta di gestire i soldi degli italiani, la testa e il cuore delle decisioni non possono traslocare a Parigi. È stata una mossa per garantire stabilità e sicurezza a tutto il sistema.
Poste Italiane blinda Tim
Mentre Generali chiudeva la porta a un nuovo ingresso francese, in Tim si festeggiava l'uscita definitiva di un vecchio socio d'Oltralpe. Il gruppo francese Vivendi, che per anni è stato il padrone di casa dentro la nostra compagnia telefonica (spesso litigando con tutti), ha venduto le sue ultime quote ed è uscito di scena.
A comprare queste azioni è stata Poste Italiane. Questo passaggio è molto importante perché Poste è controllata dallo Stato. Con questa mossa, costata quasi 200 milioni di euro, il controllo pubblico su Tim diventa fortissimo. È la fine di una lunga telenovela e il completamento di un disegno voluto dal Governo Meloni: avere una rete telefonica nazionale stabile e sicura.
C'è solo un piccolo problema tecnico da risolvere, ma è burocrazia. Comprando queste quote, Poste ha superato una certa soglia di proprietà che, per legge, obbligherebbe a lanciare un'offerta per comprare tutta l'azienda (una cosa costosissima chiamata OPA). Per evitare di spendere miliardi inutilmente, Poste userà delle "uscite di sicurezza" previste dalle regole: potrà rivendere una piccola parte di azioni entro un anno oppure aspettare che cambino le regole interne delle azioni Tim, cosa che "annacquerebbe" la sua quota facendola rientrare nei limiti consentiti.
In conclusione, non aspettiamoci domani mattina una fusione tra Poste e Tim. Per ora l'idea è quella di una grande alleanza strategica: Poste userà la rete Tim per i suoi cellulari e insieme lavoreranno su tecnologie moderne come l'intelligenza artificiale. Quello che conta, però, è il segnale politico ed economico: sia per le assicurazioni che per i telefoni, la stagione del dominio francese sembra finita. L'Italia ha deciso di tenersi strette le chiavi di casa.