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I farmaci beta-bloccanti sono realmente utili per i pazienti che hanno subito un infarto?

 
I farmaci beta-bloccanti sono realmente utili per i pazienti che hanno subito un infarto?
Redazione

I risultati del trial REBOOT e dello studio BETAMI-DANBLOCK, pubblicati sul New England Journal of Medicine e presentati al Congresso ESC 2025, aprono un dibattito sulla terapia standard

I farmaci beta-bloccanti, utilizzati da decenni per ridurre la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna, potrebbero non offrire reali benefici ai pazienti che hanno subito un infarto miocardico ma hanno una funzione cardiaca conservata. A sostenerlo è lo studio REBOOT, i cui risultati sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine e presentati al Congresso della Società Europea di Cardiologia 2025 a Madrid.

Lo studio REBOOT: oltre 8.400 pazienti analizzati

Il trial ha coinvolto più di 8.400 pazienti dimessi dopo un infarto con una frazione di eiezione superiore al 40%. I partecipanti sono stati divisi in due gruppi: chi assumeva un beta-bloccante e chi no, entro due settimane dalla dimissione.

Dopo un follow-up medio di 3,7 anni, non sono emerse differenze significative nei tassi di morte per qualsiasi causa, nuovi infarti o ricoveri per insufficienza cardiaca.

Una sottoanalisi condotta su circa 1.600 donne ha mostrato addirittura un aumento del rischio di mortalità tra coloro che assumevano beta-bloccanti, rispetto a chi non li assumeva. Tuttavia, gli autori invitano alla prudenza: le donne arruolate erano mediamente più anziane, più fragili e trattate in modo meno intensivo rispetto agli uomini.

Lo studio BETAMI-DANBLOCK: dati contrastanti

Parallelamente, un altro studio – BETAMI-DANBLOCK, sempre pubblicato sul New England Journal of Medicine – ha portato a conclusioni parzialmente diverse.

Analizzando oltre 5.000 adulti con funzione cardiaca normale o lievemente ridotta, i ricercatori hanno osservato che chi assumeva beta-bloccanti aveva meno episodi di nuovo infarto nell’arco di 3 anni e mezzo rispetto a chi non li utilizzava. Tuttavia, non si sono registrate differenze nei tassi di morte, insufficienza cardiaca, ictus o altri eventi cardiovascolari gravi.

Va sottolineato che BETAMI-DANBLOCK aveva alcune limitazioni metodologiche: la necessità di unire due studi distinti, le differenze nei criteri di arruolamento e il numero ridotto di partecipanti rispetto a REBOOT.

Una pratica clinica da rivedere?

Per oltre 40 anni, le linee guida cliniche hanno raccomandato l’uso sistematico dei beta-bloccanti dopo un infarto, indipendentemente dalla condizione cardiaca del paziente.

Lo studio REBOOT solleva dubbi importanti su questa prassi consolidata, mentre BETAMI-DANBLOCK ne evidenzia possibili benefici selettivi. La comunità scientifica dovrà ora valutare attentamente i dati per aggiornare le raccomandazioni e personalizzare le terapie, evitando trattamenti inutili o potenzialmente dannosi.