LA GRANDE ILLUSIONE DEI TASSI IN DISCESA: IL SEGNALE DALLA GERMANIA CHE NESSUNO STA GUARDANDO
Esiste una differenza sostanziale, spesso ignorata, tra l’essere pessimisti – o "ribassisti" come si dice in gergo finanziario – ed essere semplicemente prudenti. Scegliendo la via della prudenza, proprio da questa prospettiva nasce un’analisi su ciò che sta accadendo, quasi in sordina, nei mercati obbligazionari europei. C’è un movimento in atto che in pochi stanno osservando con la dovuta attenzione, eppure potrebbe essere la chiave di volta per anticipare le prossime mosse della Banca Centrale Europea (BCE).
Di recente, Christine Lagarde ha sorpreso molti anticipando che, nelle proiezioni di fine anno, potrebbero emergere aspettative di lievi rialzi dei tassi di interesse entro la fine del 2026. Un’affermazione che suona stonata alle orecchie di chi osserva l’economia reale: l’inflazione sembra essere sotto controllo e i tassi ufficiali sono stabili da mesi. Perché, dunque, parlare di rialzi?
LA QUIETE PRIMA DELLA TEMPESTA SUI TITOLI DI STATO
Dietro questa apparente calma, i mercati si stanno muovendo. Il loro lavoro, da sempre, è cercare di prevedere il futuro prima che accada. Per capire cosa sta succedendo, dobbiamo guardare ai Titoli di Stato, ovvero quei prestiti che gli investitori fanno ai governi (come i BTP italiani o i Bund tedeschi) in cambio di un interesse, tecnicamente chiamato "rendimento".
Nell'ultimo mese, i rendimenti dei titoli di stato italiani e tedeschi sono saliti su tutte le scadenze. È un segnale che ha cambiato la prospettiva. Questo movimento al rialzo impone di indagare le cause profonde, distogliendo per un attimo l'attenzione dal mercato azionario.
NON È L’INFLAZIONE A GUIDARE LA DANZA
Siamo stati abituati a pensare che la BCE decida di alzare o abbassare il costo del denaro (i tassi di interesse) basandosi quasi esclusivamente sull'inflazione, cioè sull'aumento dei prezzi al consumo.
Tuttavia, sovrapponendo i grafici storici dell'inflazione e delle decisioni della BCE, emerge una verità scomoda: non c'è una correlazione lineare. In passato, la Banca Centrale ha alzato i tassi anche con inflazione bassa, o non li ha toccati quando l'inflazione correva. Spesso, come accaduto nel post-Covid, si è mossa con grande ritardo.
Dunque, se non è l’inflazione il vero faro guida, cos'è?
La risposta si trova in Germania, e più precisamente nel rendimento dei Bund a due anni.
IL VERO ANTICIPATORE DELLE MOSSE EUROPEE
C'è un legame storico impressionante, quasi matematico, tra il rendimento dei Bund tedeschi a breve scadenza (due anni) e le future decisioni della BCE. Questi titoli funzionano come un sismografo: quando il loro rendimento sale, sistematicamente, qualche mese dopo, la BCE alza i tassi. Al contrario, quando il rendimento di questi titoli scende, la BCE smette di alzarli o inizia a tagliarli.
Questo capovolge la narrazione comune. Si tende a credere che siano le decisioni della Banca Centrale a influenzare i rendimenti a breve termine. I dati ci dicono l'opposto: è il mercato ad anticipare la realtà, costringendo poi la BCE ad adeguarsi dopo qualche mese. È come se il mercato "sentisse" l'arrivo della pioggia prima che la BCE decida di aprire l'ombrello.
UN'ANOMALIA TRANSATLANTICA
Veniamo ai giorni nostri. Da circa aprile, i rendimenti dei Bund a due anni hanno ricominciato a salire, superando la soglia psicologica del 2 per cento. Anche i titoli italiani seguono la stessa scia. Non stiamo parlando di un’esplosione, ma di un trend che non va ignorato.
È qui che le dichiarazioni della Lagarde assumono un senso diverso. Quella che sembrava una "sparata" non necessaria su possibili rialzi futuri, potrebbe essere una risposta a questo segnale che arriva dai mercati.
Se i rendimenti a breve termine continueranno a salire, potremmo trovarci a discutere seriamente di un aumento dei tassi ben prima della fine del 2026.
Questo scenario aprirebbe le porte a una divergenza storica tra Europa e Stati Uniti, dove la Federal Reserve si prepara invece a tagliare i tassi.
CONCLUSIONI: PRUDENZA, NON CERTEZZA
Siamo di fronte a uno scenario in cui la narrativa ufficiale ("abbiamo tagliato, ora aspettiamo") potrebbe scontrarsi con la realtà dei grafici.
Se la correlazione tra Bund tedeschi e tassi BCE dovesse confermarsi ancora una volta, ci aspetta un periodo di volatilità e decisioni inaspettate.
Ovviamente, questa è un'analisi basata sui dati attuali e non una sfera di cristallo. Se nei prossimi mesi vedremo i rendimenti calare, l'allarme rientrerà.
Ma per ora, essere prudenti significa osservare il grafico tedesco a due anni, perché potrebbe dirci molto di più sul nostro futuro economico di quanto non facciano le conferenze stampa ufficiali.