La ricerca pubblicata su Physical Review Research mostra che la gestione del tempo tra prima dose e richiamo è decisiva nelle strategie di contenimento
Il tempo che intercorre tra la prima dose di vaccino (primer) e quella di richiamo (booster) può fare la differenza nell’andamento di un’epidemia. Non solo per l’immunità individuale, ma soprattutto per l’impatto a livello collettivo. A dimostrarlo è uno studio del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), realizzato dall’Istituto dei sistemi complessi (Cnr-Isc) e dall’Istituto per le applicazioni del calcolo (Cnr-Iac), che ha analizzato diversi scenari di distribuzione delle dosi utilizzando un modello matematico.
I risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Physical Review Research e delineano un quadro chiaro: la strategia vaccinale deve adattarsi alle risorse disponibili per risultare davvero efficace.
Prima dose prioritaria in caso di risorse limitate
“I risultati mostrano che, quando le risorse sono scarse e i tempi di attesa per le dosi sono lunghi, l'approccio più efficace è dare priorità assoluta alla prima dose, così da aumentare rapidamente la copertura vaccinale iniziale”, afferma Francesca Colaiori, ricercatrice del Cnr-Isc.
Al contrario, in presenza di un tasso di vaccinazione elevato e di una maggiore disponibilità di dosi, diventa vantaggioso iniziare a somministrare anche le seconde dosi mentre una parte della popolazione è ancora in attesa della prima. La priorità, in questo caso, dipende dal livello di risorse disponibili.
Lo studio identifica inoltre un punto di transizione: quando le scorte aumentano, diventa ottimale procedere parallelamente con prime e seconde dosi. “Una corretta strategia ha l'effetto di spostare la soglia epidemica e dunque in alcune circostanze può perfino sopprimere del tutto epidemie che, con una pianificazione sub-ottimale, sarebbero invece esplose”, aggiunge Colaiori.
Epidemie e strategie vaccinali: la lezione del Covid-19
La ricerca mette in luce anche una questione cruciale: l’intervallo ottimale per il singolo individuo non coincide sempre con quello più vantaggioso per la popolazione.
“Durante l’epidemia di Covid-19, molti Paesi si sono trovati a dover decidere come allocare scorte limitate di vaccini – spiega Colaiori –. Alcuni paesi hanno scelto di prolungare l'intervallo tra le dosi, dando priorità alla somministrazione della prima dose al maggior numero possibile di individui idonei, seguendo le raccomandazioni del Joint Committee on Vaccination and Immunisation (JCVI). Il JCVI riteneva infatti che ridurre al minimo la popolazione ‘vaccino-naïve’ (cioè, priva di immunità vaccinale) avrebbe ridotto significativamente il rischio di malattie gravi e ricoveri ospedalieri a breve termine. Altri paesi, invece, si sono attenuti alle indicazioni iniziali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO), che raccomandava un intervallo più breve tra le dosi”.
Lo studio del Cnr evidenzia come la gestione dei tempi tra le dosi di vaccino non sia un dettaglio tecnico, ma un elemento cruciale di politica sanitaria. Una scelta capace di incidere sulla soglia epidemica, sul contenimento del contagio e persino sulla possibilità di sopprimere del tutto un’epidemia.