L’Italia ha finalmente ottenuto il riconoscimento dell’Unesco per la sua cucina. È stata una festa per tutti, una liberazione. Ma questo premio vale molto di più di un semplice "bollino" internazionale. Anche se il mondo mangia italiano da sempre, avevamo bisogno di questa conferma. Non per copiare i francesi o i giapponesi con le loro regole rigide, ma per dire a tutti che la nostra cucina è diversa: non nasce sui libri di scuola, ma nelle case, nelle piazze e nel cuore delle persone.
Oltretutto l’iconicità di alcuni prodotti troppo spesso non è affatto parte integrante di una regione. Per esempio la mitica pizza. Pensiamo alla pizza come a un monumento intoccabile della nostra storia, ma la realtà è molto più curiosa e sorprendente. In origine, la pizza non era altro che un semplice disco di pasta condito con quello che c’era: aglio, grasso o qualche pesciolino, ed era diffusa usanza in tutto il territorio e addirittura di derivazione araba. Pizza o pida o piada sempre un disco di pasta era. Niente pomodoro, niente mozzarella. Era un cibo poverissimo, mangiato per strada con le mani, e molti scrittori dell'epoca la descrivevano addirittura come qualcosa di sporco e poco invitante.
La vera fortuna della pizza non è nata a Napoli, ma grazie agli emigranti italiani in America. È lì, oltreoceano, che la pizza si è arricchita con la salsa di pomodoro ed è lì che sono nate le prime pizzerie con tavoli e sedie. Quando i soldati americani arrivarono in Italia durante la Seconda Guerra Mondiale, rimasero sorpresi nel non trovare le pizzerie a ogni angolo, come erano abituati a vedere a New York o Chicago. In Italia, infatti, la pizza era ancora quasi solo cibo di strada.
Anche le storie più belle a volte sono solo... storie. La famosa leggenda della pizza Margherita inventata nel 1889 in onore della Regina è, appunto, un'invenzione nata molti anni dopo per celebrare i Savoia. La ricetta esisteva già: l'abbinamento di pomodoro, mozzarella e basilico non fu inventato nel 1889 dal pizzaiolo Raffaele Esposito. Ci sono testimonianze scritte (come nel libro Usi e costumi di Napoli di Francesco De Bourcard) che descrivono pizze con questi ingredienti già trent'anni prima, intorno al 1858-1866.
La famosa lettera di ringraziamento della Casa Reale, esposta ancora oggi dalla Pizzeria Brandi, è stata analizzata da storici e grafologi ed è considerata un falso realizzato molto dopo (probabilmente negli anni '30) per dare lustro al locale. Il nome "Margherita", secondo alcuni filologi, potrebbe derivare non dalla Regina, ma dalla disposizione delle fette di mozzarella che, tagliate a raggiera, ricordavano la forma del fiore (la margherita, appunto). La storia serviva a "piemontesizzare" un prodotto napoletano e a creare un legame tra i Savoia (i nuovi regnanti) e il popolo di Napoli, utilizzando i colori della bandiera italiana (rosso, bianco e verde) come simbolo di unità nazionale. Quindi Raffaele Esposito è esistito e probabilmente ha cucinato per la Regina, ma non ha "inventato" quella pizza in quel momento. È un mito di fondazione creato a posteriori che ha avuto uno straordinario successo mondiale.
La verità è che la pizza non ha regole sacre: è nata povera, è diventata ricca viaggiando ed è in continua evoluzione. Oggi accettiamo varianti che ieri sembravano impensabili. Persino la tanto discussa pizza con l'ananas ha ormai più di sessant'anni di storia: che ci piaccia o no, anche lei fa parte di questo lungo viaggio di adattamento e fantasia.
QUANDO LA FAME AGUZZA L'INGEGNO
Basta guardare la televisione: se confrontiamo il primo Masterchef con quello di oggi, vediamo come tutto sia cambiato in pochissimi anni. La nostra cucina, quella che oggi celebriamo, in realtà è giovane.
Parlare di "tradizione antica" è difficile. Diciamoci la verità: la cucina dei nostri nonni era l'arte di sopravvivere. Se dovessimo mangiare oggi esattamente come si mangiava un tempo, forse non saremmo così felici. Era una cucina povera: cipolle bollite riempite di pane secco perché il forno si accendeva due volte al mese. La carne? Un sogno. Gli stessi tortellini, che oggi sono il re della tavola, nascevano per non buttare via nulla, usando gli avanzi delle carni povere del cortile.
La magia è nata quando la gente semplice, magari lavorando nelle case dei ricchi, ha iniziato a mescolare la necessità con la fantasia. Abbiamo imparato a trasformare tutto. Pensiamo allo Spritz: nato perché i soldati austriaci allungavano con l'acqua il nostro vino veneto troppo forte. Noi abbiamo preso quel gesto e ne abbiamo fatto un aperitivo famoso nel mondo.
La cucina italiana non è un pezzo da museo: è la capacità di prendere poco e farlo diventare tantissimo. È immaginare il sapore di un piatto prima ancora di accendere il fornello.
LA BELLEZZA DI NON AVERE REGOLE FISSE
Il vero segreto che l'Unesco ha premiato è proprio quello che a volte ci sembra un difetto: non abbiamo un'unica regola valida per tutti. E per fortuna!
La nostra forza è che ogni campanile, ogni borgo, ogni famiglia fa le cose a modo suo. Non siamo un esercito in divisa, siamo un mosaico colorato. La nostra identità non sta nell'essere tutti uguali, ma nell'essere tutti diversi eppure uniti dalla stessa passione.
SIAMO FIGLI DEL MONDO
Smettiamola di pensare che dobbiamo difendere i nostri confini a tavola. La vera cucina italiana esiste proprio perché abbiamo sempre lasciato la porta aperta.
Il pomodoro è arrivato dall'America, la pasta ha fatto un viaggio lunghissimo. Se ci fossimo chiusi in noi stessi, oggi mangeremmo molto peggio. Il genio italiano sta proprio qui: prendiamo cose che vengono da fuori, le accogliamo e le facciamo diventare nostre, "autentiche", come se fossero nate qui.
UNA TRADIZIONE CHE NON STA MAI FERMA
La cucina italiana è viva, non è una statua impolverata. Vince chi si adatta, chi cambia. I nostri emigranti hanno portato le ricette in America o in Venezuela, le hanno cambiate, e a volte quelle novità sono tornate indietro arricchendoci. Accettiamo le novità con la stessa naturalezza con cui, secoli fa, abbiamo accolto il mais o le patate.
Quella che chiamiamo "tradizione" spesso è solo un'innovazione che ha avuto successo. Creiamo nuovi classici ogni giorno, perché rispondono ai nostri bisogni di oggi.
DALLA POVERTÀ ALLA POESIA
Cosa ha premiato davvero l'Unesco? Non una cartolina turistica, ma il nostro rapporto d'amore con il cibo.
Siamo figli di una creatività nata dal bisogno. La nostra cultura viene dalla fame vera, dalla capacità dei nostri antenati di trasformare la miseria in una festa, un ingrediente povero in un piatto da re. L'Unesco non ha premiato una cucina ferma nel passato, ma la nostra capacità di andare avanti. Il nostro vero primato non è essere perfetti, è essere italiani: maestri nell'arte di accogliere, di trasformare le difficoltà in opportunità e di far sentire chiunque a casa. Questa è l'unica tradizione che vale la pena difendere: quella che resta viva perché continua a cambiare insieme a noi.