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Unimpresa: la lezione della Fed e il rischio per l’Europa

 
Unimpresa: la lezione della Fed e il rischio per l’Europa
Redazione

L’allarme di Paolo Longobardi

La tempesta che si è abbattuta sulla Federal Reserve americana, divisa tra il compito di controllare l’inflazione e le pressioni sempre più invasive della politica, rappresenta un monito per l’Europa e per l’Italia. A lanciare l’allarme è il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi, che sottolinea quanto sia pericoloso piegare le banche centrali a esigenze di breve termine.

«Quanto sta accadendo negli Stati Uniti intorno alla Federal Reserve deve far riflettere anche l’Europa e l’Italia. La tentazione di piegare l’indipendenza della banca centrale a logiche politiche contingenti è sempre forte, soprattutto quando l’inflazione resta sopra il target e il debito pubblico cresce in modo preoccupante», afferma Longobardi. «Una Fed politicizzata, che orienta i tassi più per contenere il costo del debito che per presidiare l’equilibrio macroeconomico, finirebbe per alimentare instabilità, volatilità e nuove tensioni commerciali a livello globale. Per l’Europa e per l’Italia le conseguenze sarebbero immediate: dazi più aggressivi, squilibri nei flussi finanziari, difficoltà per le imprese esportatrici. Difendere l’autonomia delle banche centrali non è un lusso istituzionale, ma un’esigenza concreta di stabilità economica».

Il monito per l’Eurozona

Longobardi richiama anche il ruolo della Banca centrale europea (Bce), che in questa fase attraversa un terreno irto di contraddizioni: «In questa fase, in cui l’Eurozona conosce segnali contrastanti tra ripresa dei servizi e debolezza della manifattura, l’indipendenza della Bce deve restare un punto fermo. Solo così si possono garantire politiche credibili, capaci di sostenere la crescita senza perdere il controllo dell’inflazione. La lezione che ci viene da Washington è chiara: quando la politica invade il terreno della tecnica monetaria, il prezzo da pagare lo sostengono famiglie e imprese».

Il taglio dei tassi e le divisioni interne alla Fed

Secondo il Centro studi di Unimpresa, la riunione del 16 e 17 settembre della Federal Reserve ha segnato un passaggio cruciale nella politica monetaria americana. La Fed ha scelto di ridurre i tassi d’interesse di 25 punti base, il primo taglio da dicembre 2024, preferendo sostenere un mercato del lavoro in affanno rispetto al rischio di un’inflazione che rimane oltre il 2%.

La decisione non è stata unanime: il neo-governatore Miran, considerato vicino all’amministrazione Trump, ha chiesto un taglio doppio, di 50 punti base, segnalando la volontà di imprimere una svolta più radicale.

Proiezioni ottimistiche, ma con molte ombre

Le nuove Summary of Economic Projections della Fed hanno mostrato una crescita rivista al rialzo, inflazione più sostenuta e disoccupazione più bassa. Una fotografia che, a prima vista, sembra rassicurante.

Ma dietro i numeri si nascondono contraddizioni profonde. Se l’inflazione continua a superare il target, la priorità del FOMC appare ormai spostata sul rallentamento occupazionale, percepito come un rischio politico oltre che economico. Questa scelta riflette l’influenza crescente della Casa Bianca sulle decisioni di politica monetaria.

La pressione della politica sull’istituto centrale

Il nodo centrale resta infatti politico. L’amministrazione Trump ha intrapreso la strada della pressione diretta, evitando la più complessa riforma del Federal Reserve Act, ma puntando a sostituire i membri del Board ritenuti non collaborativi, a partire dal presidente Powell e da Lisa Cook.

L’obiettivo è ridefinire la funzione stessa della banca centrale: non più soltanto la stabilità dei prezzi, ma anche il contenimento del costo del debito pubblico e il sostegno alla crescita. Una visione che potrebbe minare la credibilità anti-inflazionistica costruita in decenni di disciplina monetaria.

Un equilibrio fragile e potenzialmente esplosivo

I sostenitori della linea più aggressiva sostengono che le politiche fiscali abbiano ridotto il tasso naturale di interesse, aprendo la strada a tagli più profondi senza alimentare pressioni sui prezzi. Tuttavia, i dati raccontano altro: il debito pubblico è in crescita, la disoccupazione resta bassa e la politica monetaria rischia di trasformarsi in un braccio operativo del Tesoro.

Il mix è potenzialmente esplosivo, con il pericolo di alimentare pressioni inflazionistiche interne e squilibri commerciali esterni.

L’impatto sui mercati e sull’Europa

Per ora i mercati finanziari mantengono una certa fiducia, le aspettative di inflazione a cinque anni sono appena sopra il 2%, e nel FOMC solo Miran ha chiesto un taglio più deciso. Tuttavia, la direzione intrapresa rischia di destabilizzare il quadro in tempi brevi.

Se le aspettative di inflazione dovessero spostarsi al rialzo, gli investitori chiederebbero premi al rischio più elevati, con conseguenze immediate anche per l’Europa. Per l’Italia, con il suo debito pubblico ingente, gli effetti sarebbero particolarmente dolorosi, traducendosi in un aumento dei costi di rifinanziamento e in nuove difficoltà per le imprese esportatrici.