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La crisi strutturale del sistema pensionistico

 
La crisi strutturale del sistema pensionistico
Luca Lippi

FOTO: Carlo Dani - CC BY-SA 4.0

Il sistema pensionistico italiano ha raggiunto un punto di svolta critico. Non si tratta di un problema contabile temporaneo, ma di una fragilità strutturale e continuativa che impatta profondamente sul futuro economico del Paese.

LA MATEMATICA COMPLESSA DELL'INPS

A una prima occhiata, i numeri dell'INPS (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale) sembrano rassicuranti: nel 2024 l'Istituto ha chiuso con un avanzo di 15 miliardi. Tuttavia, questa cifra nasconde una realtà più complessa. Il conto economico finale, dopo aver utilizzato le riserve, mostra un disavanzo effettivo di circa 4,9 miliardi di euro. In pratica, il sistema riesce a reggere solo grazie ai massicci trasferimenti statali, ovvero fondi prelevati dalla fiscalità generale (le tasse) per finanziare l'assistenza e colmare il divario tra quanto si incassa dai contributi e quanto si spende per le pensioni.
Per comprendere la dinamica, è utile distinguere i due "mondi" interni all'INPS: la Previdenza, che gestisce le pensioni basate sui contributi dei lavoratori, e l'Assistenza, che eroga aiuti finanziati direttamente dalle tasse. Il cuore del problema è nella Previdenza: i contributi versati dai lavoratori non sono più sufficienti a coprire le pensioni.

LA CAUSA PRINCIPALE È LA PIRAMIDE DEMOGRAFICA

Il divario contributivo cresce inesorabilmente a causa di un fenomeno demografico profondo: la piramide demografica capovolta. In termini semplici, ci sono troppo pochi lavoratori a sostenere un numero sempre maggiore di pensionati.
Oggi, per ogni pensionato, ci sono circa 1,6 lavoratori. Se questa tendenza dovesse continuare, entro il 2050 il rapporto potrebbe precipitare a uno a uno, una situazione che renderebbe il sistema finanziariamente insostenibile. Questo squilibrio non è facile da risolvere, poiché le entrate contributive sono già a livelli elevati, e aumentarle ulteriormente potrebbe danneggiare la competitività del lavoro. Per questo motivo, le riforme pensionistiche si concentrano quasi esclusivamente su tre leve: l'aumento dell'età pensionabile, la ricalibrazione dell'importo delle pensioni o l'aumento del numero di contribuenti (lavoratori).

REALTÀ E ASPETTATIVE

In Italia, i pensionati sono poco più di 16 milioni, il che significa che circa un italiano su quattro riceve almeno una pensione. Va sottolineato che le prestazioni pensionistiche totali sono più numerose, in quanto una persona può ricevere contemporaneamente, ad esempio, la pensione di vecchiaia e quella di reversibilità (la pensione lasciata da un coniuge defunto).
Il reddito pensionistico medio annuo lordo si attesta intorno ai 21.400 euro. Tuttavia, questo valore è solo indicativo, poiché la distribuzione è molto irregolare, con una parte significativa delle pensioni che si trova sotto i 1.000 euro al mese. In molte famiglie, il reddito equivalente di un pensionato è spesso più alto di quello di un giovane lavoratore dipendente con contratti precari. Purtroppo, per i giovani di oggi, le proiezioni sono meno rosee e l'entrata in pensione sarà spesso segnata da una significativa riduzione delle proprie entrate.

IL FUTURO DEL PENSIONAMENTO

L'equilibrio temporale del pensionamento è cambiato radicalmente. Mentre negli anni '80 era possibile ritirarsi dal lavoro molto prima, oggi l'età effettiva si è alzata a circa 67 anni, spinta dall'aumento dell'aspettativa di vita media.

Chi entra nel mercato del lavoro oggi, a causa dei coefficienti di trasformazione (i fattori che convertono i contributi versati in assegno pensionistico in base all'aspettativa di vita), probabilmente andrà in pensione intorno ai 71 anni. Chi ha avuto carriere discontinue o ha iniziato a lavorare tardi rischia di dover lavorare ancora più a lungo per raggiungere i requisiti necessari.
A livello europeo, il trend è lo stesso. Paesi come Francia e Germania stanno alzando l'età pensionabile (la Germania, ad esempio, la porterà a 67 anni entro il 2031) e adottando soluzioni innovative come l'Active Rent tedesco, che consente ai pensionati di continuare a lavorare esentasse per un certo importo. Molti Paesi europei hanno anche adottato sistemi basati sulla capitalizzazione di una parte consistente delle pensioni in fondi pensione, creando grandi poli di investimento.

LE RIFORME E L'ECONOMIA

I recenti governi italiani hanno optato prevalentemente per interventi a breve termine (come le proroghe di misure tipo Quota 103), piuttosto che affrontare le riforme strutturali necessarie per risolvere il problema alla radice. Tali riforme richiedono tempo e consenso politico, ma sono indispensabili.
Il problema pensionistico non è solo sociale, ma anche profondamente finanziario. Il deficit strutturale annuale alimenta il debito pubblico, riduce la fiducia dei mercati e indebolisce il rating del Paese. Un sistema di welfare (stato sociale) in squilibrio aumenta il premio al rischio (lo spread) e rende difficile attrarre capitali stranieri. In questo contesto, la previdenza complementare (i fondi pensione privati) è un supporto fondamentale, ma in Italia è ancora troppo modesta rispetto ad altri Paesi. Una minore diffusione dei fondi pensione riduce la disponibilità di capitali domestici per i mercati e aumenta la dipendenza del Paese dal debito pubblico.

CONCLUSIONE

In sostanza, per invertire la rotta, l'Italia ha bisogno di due azioni cruciali e sinergiche:
- Aumentare la natalità: facciamo troppi pochi figli per sostenere il futuro sistema.
- Aumentare la produttività: salari più alti e un'economia più robusta porterebbero a maggiori contributi, rafforzando la base finanziaria delle future pensioni