Il presidente rilancia la guerra commerciale: possibili tariffe fino al 200% sui medicinali importati. Analisti in allerta, consumatori preoccupati per prezzi e forniture.
Il presidente Donald Trump, dopo aver già colpito i settori dell’auto, dell’acciaio e dell’alluminio, punta ora con decisione sul comparto farmaceutico. Una mossa che rischia di cambiare profondamente il mercato globale dei medicinali: dazi fino al 200% sui farmaci prodotti al di fuori degli Stati Uniti.
Per decenni i prodotti farmaceutici importati sono entrati nel Paese senza dazi, ma lo scenario si è ribaltato. Nel recente accordo tra USA e Unione Europea è stata introdotta un’aliquota tariffaria del 15% anche su alcune tipologie di farmaci, preludio a misure molto più drastiche.
Prezzi più alti e catene di fornitura a rischio
Trump ha promesso di abbassare il costo dei medicinali per gli americani, ma l’effetto potrebbe essere l’opposto. L’imposizione di dazi su larga scala potrebbe infatti:
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interrompere le catene di approvvigionamento globali;
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ridurre la disponibilità di farmaci generici a basso costo;
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creare possibili carenze sul mercato statunitense;
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innescare un effetto inflazionistico sia sulle prescrizioni in farmacia sia sui premi assicurativi sanitari.
Gli analisti stimano che, anche con tariffe inferiori al 200%, i prezzi dei farmaci potrebbero crescere progressivamente del 10-14% man mano che le scorte si esauriscono.
I tempi e le possibili eccezioni
Le nuove misure, secondo le previsioni, non entreranno in vigore prima della seconda metà del 2026, con effetti tangibili solo tra il 2027 e il 2028, grazie alle attuali riserve accumulate dalle aziende. Inoltre, il mercato resta in attesa di capire se saranno previste esenzioni per i farmaci generici, fondamentali per contenere i costi sanitari.
Il peso della produzione estera
Negli ultimi decenni le grandi multinazionali hanno spostato parte delle loro attività produttive all’estero, attratte da costi inferiori in Cina e India e da regimi fiscali favorevoli in Irlanda e Svizzera. Il risultato è un deficit commerciale USA in farmaci e prodotti farmaceutici che ha toccato i 150 miliardi di dollari nel 2024.
A complicare lo scenario, la pandemia ha mostrato la fragilità di un sistema dipendente dall’estero per medicine e dispositivi, con la Cina — principale rivale geopolitica di Washington — nel ruolo di fornitore chiave.
L’obiettivo: riportare le fabbriche in America
Trump ha dichiarato più volte di voler “riportare le fabbriche farmaceutiche negli Stati Uniti”. Alcuni colossi hanno già avviato maxi-investimenti: Roche (50 miliardi di dollari) e Johnson & Johnson (55 miliardi in quattro anni). Ma i tempi di realizzazione sono lunghi: costruire un impianto da zero negli Stati Uniti richiede anni e non mette al riparo dai dazi sugli ingredienti attivi importati, da cui dipendono il 97% degli antibiotici, il 92% degli antivirali e l’83% dei generici più diffusi.
Il ruolo dei farmaci generici
Il nodo centrale restano i farmaci generici, che rappresentano il 92% delle prescrizioni negli USA. A differenza delle aziende produttrici di farmaci “brand”, che possono contare su margini di profitto più ampi, i produttori di generici hanno risorse limitate per assorbire l’impatto dei dazi.
Alcune aziende potrebbero decidere di abbandonare il mercato statunitense, con effetti dirompenti sull’accesso alle cure per milioni di cittadini.