Alla presenza del Presidente Mattarella inaugurata l’installazione permanente di Eugenio Tibaldi: due fenici luminose che brillano grazie all’energia prodotta dalle detenute. Un progetto unico di arte partecipata, rinascita e dignità.
Un’iniziativa di grande valore umano e simbolico si accende all’interno della Casa Circondariale Femminile di Rebibbia “Germana Stefanini”. Alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la Fondazione Severino e la Fondazione Pastificio Cerere hanno presentato BENU, la nuova installazione permanente dell’artista Eugenio Tibaldi, a cura di Marcello Smarrelli.
Una notizia che segna un momento storico: per la prima volta un’opera d’arte site-specific, frutto di un percorso partecipato con le detenute, diventa patrimonio stabile del carcere ed è visibile anche dall’esterno a partire dall’11 dicembre.
L’arte entra in carcere: un ponte tra dentro e fuori
Il progetto, sostenuto da Intesa Sanpaolo e patrocinato dal Dicastero per la Cultura e l’Educazione della Santa Sede e dal Ministero della Giustizia, si inserisce nelle iniziative volte a portare l’arte contemporanea negli istituti penitenziari, trasformando i luoghi della detenzione in spazi di relazione, dignità e possibilità.
Il nome BENU richiama una figura sacra dell’antico Egitto: un uccello dai colori luminosi, simbolo di rigenerazione, rinascita e trasformazione. Associato alla fenice, è stato adottato dal cristianesimo come metafora della resurrezione: un’immagine potentissima per chi vive la condizione della reclusione.
Un percorso creativo condiviso con le detenute
L’opera è il risultato di un lungo lavoro iniziato nel settembre 2024. Tibaldi ha svolto visite, colloqui e laboratori di disegno, dove la creatività è diventata strumento di espressione, dialogo e cura.
Le testimonianze delle donne confermano la forza del progetto:
“Il laboratorio è stato un modo per evitare di chiudersi nella bolla e pensare che non ci sia via d’uscita”;
“Abbiamo capito che ogni progresso nasce da una scelta: quella di provarci ancora”.
Lo stesso Tibaldi ha raccontato: “È stata un’esperienza intensa che ha modificato la mia visione del mondo. Ho raccolto emozioni e storie che hanno trasformato anche la mia ricerca artistica”.
Le due fenici che brillano grazie alla forza delle donne
Da questo percorso nascono due fenici luminose, installate su aste alte oltre otto metri e visibili dalle celle, dagli uffici e dalle strade circostanti.
La notizia più sorprendente è che queste sculture non si illuminano automaticamente:
hanno bisogno dell’energia prodotta dalle detenute sulle cyclette installate appositamente.
Durante i sopralluoghi era emerso infatti il desiderio di avere strumenti per l’attività fisica: da qui l’idea di collegare cyclette a generatori che alimentano le fenici. Così, la luce diventa un atto concreto, quotidiano, una scelta: un esercizio di libertà possibile anche dietro le sbarre.

Una rinascita condivisa
La Presidente della Fondazione Severino, Paola Severino, sottolinea il valore simbolico dell’opera:
“BENU è molto più di un’opera d’arte: è la dimostrazione che anche nel carcere si può generare bellezza, dialogo, fiducia. Le fenici luminose raccontano una storia di riscatto possibile”.
Il curatore Marcello Smarrelli evidenzia la natura partecipativa del progetto:
“BENU attinge dalle narrazioni intime delle detenute, trasformandole in immagini di speranza, dignità e nuove possibilità”.
Un segnale visibile anche all’esterno
Le fenici non illuminano soltanto chi vive dentro il carcere: diventano un messaggio al quartiere e alla città, un segnale di vita, riconciliazione e contatto. Un modo per rompere il muro dell’invisibilità che spesso avvolge il mondo penitenziario.
Un progetto corale
Realizzato con il contributo di ARTELIA Italia S.p.A. per la progettazione tecnica, CARIOCA per i materiali dei laboratori e APA – Agenzia Pubblicità Affissioni per la diffusione delle immagini in tutta Roma, BENU si presenta come un modello innovativo di co-creazione culturale, inclusione e rigenerazione sociale.