C’è un’immagine che torna puntuale ogni dicembre, ed è quella della famiglia riunita, la tavola “perfetta”, i sorrisi, i regali incartati con cura, la casa che profuma di forno e di cose buone. È la cartolina dell’Italia serena, quella che racconta il Natale come tempo di armonia e condivisione. Ma dietro quella cartolina, quasi sempre, c’è una regia silenziosa. E ha un volto preciso, quello delle donne.
Non parlo di “aiutare in casa”, perché è proprio questa espressione a tradire il problema. Aiutare presuppone che la responsabilità sia di qualcun altro. E invece la responsabilità domestica e il carico familiare (organizzativo e logistico) continuano a gravare in modo sproporzionato sulle spalle femminili. Lo confermano i dati, prima ancora delle storie, nelle rilevazioni sul tempo quotidiano le donne sommano più lavoro complessivo, tra occupazione retribuita e lavoro non pagato, rispetto agli uomini. In particolare, pesa il lavoro invisibile legato alla casa e alla cura. Secondo l’Istat, le donne occupate arrivano in media a circa 58 ore settimanali di lavoro totale, contro le 52 degli uomini. La differenza sta soprattutto in ciò che non compare in busta paga, ma che tiene insieme la vita di tutti.
Se questa è la fotografia dell’intero anno, nel periodo natalizio diventa un film in accelerazione. A dicembre tutto si intensifica, la spesa aumenta, i pasti si moltiplicano e si complicano, le visite ai parenti si incastrano tra mille impegni, i regali vanno pensati e preparati, la casa resa accogliente, le pulizie fatte prima e dopo, i bambini a casa da scuola, gli anziani da seguire, i dettagli da non dimenticare. E il punto è che non si tratta solo di lavoro manuale. È coordinamento continuo. È una gestione costante. È quella lista mentale che non si spegne nemmeno di notte. È la responsabilità di far funzionare tutto, spesso senza che nessuno la veda o la nomini.
Le istituzioni europee e le organizzazioni internazionali evidenziano che il divario nel lavoro non retribuito resta uno dei nodi più duri della disuguaglianza di genere. L’OECD, nel suo rapporto 2025 sulla parità, ribadisce che le donne continuano a svolgere quasi il doppio del lavoro non pagato rispetto agli uomini, con effetti diretti sulle carriere, sui redditi e sulla qualità della vita. Anche Eurostat, analizzando l’uso del tempo, mostra come le attività di cura della casa e della famiglia pesino ancora in modo nettamente maggiore sulle donne, seppur con differenze tra Paesi.
Le conseguenze, però, non sono solo economiche. Sono psicologiche. Sono stress, spesso normalizzato e silenzioso. Secondo una rilevazione Ipsos sulla salute mentale, lo stress risulta particolarmente elevato tra le donne, un segnale che non può essere liquidato come semplice fragilità. Quando la società continua a dare per scontato che l’organizzazione della vita familiare sia “naturalmente” femminile, il prezzo lo paga la salute, stanchezza cronica, senso di colpa, frustrazione, quella sensazione di dover tenere tutto insieme, di essere sempre il centro dell’equilibrio familiare, e talvolta di dover svolgere un ruolo educativo e di cura anche verso il partner, oltre che verso i figli.
Qui emerge una delle contraddizioni più delicate delle festività, il tempo dello stare insieme, della comunità e della condivisione, finisce spesso per poggiare sulla solitudine organizzativa di una sola persona. Sono ancora poche le donne che possono contare su una corresponsabilità reale, su un compagno che non “dà una mano”, ma condivide davvero, e pianifica, agisce, si assume il peso dei dettagli. Per molte altre, invece, l’ideale della famiglia modello resta una costruzione faticosa, portata avanti giorno dopo giorno come se fosse naturale.
Non si tratta di colpe individuali. Non è una questione di buona o cattiva volontà. È cultura. È educazione. È un’abitudine sociale che continua a considerare il lavoro domestico come uno sfondo naturale dell’esistenza, e non come tempo, competenza e responsabilità. Ma una casa non si autogestisce. E una famiglia non si tiene insieme per inerzia.
Per questo, da questo Natale, il desiderio è uno solo, semplice e profondo: chiamare le cose con il loro nome. Quello che molte donne fanno ogni giorno non è “aiuto”, non è solo istinto, non è un dovere scritto nella natura. È lavoro. È cura. È organizzazione. Ed è tempo di riconoscerlo e rispettarlo. Perché una famiglia felice non dovrebbe mai avere un costo nascosto. E quando quel costo ricade quasi sempre sulle stesse spalle, anche la festa più sentita rischia di perdere il suo senso più autentico.