Capita quasi sempre così, tra un bicchiere di vino e il dolce, durante quelle cene in cui il clima conviviale scivola inevitabilmente sulla politica e sull'economia. C’è sempre il commensale di turno, il classico "tuttologo" con la verità in tasca, che alzando un po’ la voce sentenzia con orgoglio la sua ricetta sul sistema previdenziale. La sua tesi è granitica: lui la pensione la vuole subito, e la vuole alta, perché in fondo se l’è pagata con decenni di onorato servizio. Secondo la sua logica, l’Inps non sarebbe altro che un grande forziere dove i suoi soldi hanno riposato in attesa di essere restituiti con gli interessi. È un’affermazione che suona giusta, quasi morale, ma che purtroppo si scontra con una realtà matematica molto più cruda. Quel racconto, per quanto rassicurante, è un’illusione che non regge alla prova dei numeri e dei modelli di simulazione.
LA SIMULAZIONE DI UNA CARRIERA QUARANTENNALE
Per capire se il nostro convitato abbia ragione, dobbiamo immaginare il percorso di un lavoratore ipotetico che ha iniziato la sua carriera nel 1985 per concluderla, dopo quarant’anni, nel 2025. Se impostiamo un modello matematico che segua passo dopo passo la crescita del suo stipendio e il versamento dei suoi contributi, scopriamo scenari inaspettati. Immaginiamo che il suo salario sia cresciuto costantemente nel tempo, seguendo una linea generosa ma realistica. Ogni mese, una fetta consistente di questo stipendio, circa il 31 per cento, è stata prelevata e versata nelle casse dello Stato. Nel sistema ideale del nostro amico a cena, questi soldi dovrebbero essere stati messi da parte e rivalutati in base alla crescita della nostra economia, seguendo l’andamento del Prodotto Interno Lordo.
Tuttavia, il primo grande malinteso risiede proprio qui. In Italia, i contributi non vengono accumulati in un conto individuale reale, ma vengono utilizzati immediatamente per pagare le pensioni di chi è già a riposo. È un patto tra generazioni che funziona finché ci sono abbastanza lavoratori per sostenere chi non lavora più. Ma quando la demografia frena e l’inverno delle nascite avanza, questo meccanismo inizia a scricchiolare, trasformandosi in quello che alcuni analisti definiscono provocatoriamente un sistema a schema circolare, dove le nuove entrate servono solo a coprire i debiti verso chi è uscito prima.
IL PESO DELLA REALTÀ E LA SPERANZA DI VITA
Il vero nodo della questione emerge quando confrontiamo quanto un lavoratore ha effettivamente versato con quanto lo Stato gli promette di restituire. Qui entrano in gioco le tavole di mortalità dell’Istat, che ci dicono quanto tempo, statisticamente, resteremo in vita dopo aver smesso di lavorare. Se una persona va in pensione oggi a 63 o 65 anni, ha davanti a sé una speranza di vita che supera i 22 anni. Il calcolo diventa allora una semplice divisione: se dividiamo tutto il gruzzolo accumulato in quarant’anni per gli anni di vita che restano, l’assegno mensile che ne deriva è spesso molto più basso di quello che i pensionati ricevono oggi.
Per fare un esempio pratico, se volessimo ricevere una pensione pari al nostro ultimo stipendio, i contributi versati durante la vita lavorativa basterebbero a coprire a malapena quattordici anni di vita da pensionati. Ma poiché viviamo molto più a lungo, c’è un buco finanziario che deve essere colmato da qualcun altro. In Italia, il cosiddetto tasso di sostituzione, ovvero il rapporto tra l’ultima busta paga e la prima pensione, è tra i più alti d’Europa, sfiorando l’ottanta per cento. Per fare un confronto, la media europea si ferma al 60 per cento. Questa differenza non è frutto di una magia economica, ma di una scelta politica che ha garantito assegni molto più generosi rispetto a quanto effettivamente maturato con i versamenti.
LE EREDITÀ DEL PASSATO E IL COSTO DEL PRIVILEGIO
Gran parte del problema deriva dalla transizione tra i vecchi e i nuovi sistemi di calcolo. In passato vigeva il sistema retributivo, che calcolava la pensione in base agli ultimi stipendi, solitamente i più alti della carriera, ignorando quanto fosse stato realmente versato nei decenni precedenti. Oggi siamo passati a un sistema contributivo, più equo ma meno ricco, ma la transizione è lenta e molti dei trattamenti attuali godono ancora di regole vecchie e molto vantaggiose. Esistono milioni di persone che percepiscono pensioni pur avendo versato pochissimi anni di contributi, o addirittura nessuno, grazie a integrazioni al minimo e trattamenti assistenziali.
Tutto questo genera quello che potremmo definire un disavanzo intergenerazionale. Analizzando i flussi finanziari dell’Inps, emerge che ogni anno mancano all’appello decine di miliardi di euro per coprire la differenza tra contributi incassati e pensioni erogate. È una cifra enorme che ricade sulle spalle di chi lavora oggi. Se volessimo quantificare questo peso sul singolo cittadino, scopriremmo che ogni lavoratore italiano rinuncia mediamente a una intera mensilità di stipendio ogni anno solo per finanziare quella parte di pensione altrui che non è stata coperta dai contributi. È un trasferimento di ricchezza silenzioso che avviene sotto i nostri occhi e che rende il sistema sempre più fragile.
UN FUTURO CHE RICHIEDE NUOVE STRATEGIE
Le proiezioni per i prossimi decenni non sono incoraggianti per le generazioni più giovani. Mentre i pensionati di oggi godono ancora dei benefici di riforme passate, chi entrerà nel mercato del lavoro nei prossimi anni vedrà il proprio tasso di sostituzione scendere drasticamente. La pensione pubblica non sarà più sufficiente a mantenere lo stesso stile di vita avuto durante la carriera. In questo scenario, l'idea di affidarsi esclusivamente allo Stato sta diventando un rischio sempre più alto.
Diventa quindi fondamentale guardare oltre e considerare strumenti di risparmio e investimento personale per costruire quella che viene chiamata pensione complementare. Invece di sperare in un sistema pubblico che fatica a stare in piedi, la strada maestra sembra essere quella di crearsi un proprio fondo attraverso strumenti finanziari efficienti e a basso costo, che sfruttino la forza del tempo e della crescita globale. In conclusione, quando il prossimo "tuttologo" a cena vi dirà che la pensione se l’è pagata da solo, potrete sorridere consapevoli che la matematica racconta una storia diversa: una storia fatta di regali dal futuro che, prima o poi, qualcuno dovrà pur saldare.