La chiusura storica degli impianti Volkswagen è solo l'inizio. Paga il conto un continente guidato da una classe dirigente incapace di fare analisi costi-benefici e di proteggere milioni di famiglie da una crisi annunciata.
A Dresda, in Germania, si sta consumando un evento che segna un punto di non ritorno per l'economia continentale. Per la prima volta in 88 anni di storia, gli stabilimenti della Volkswagen hanno fermato le macchine.
Disastro industriale: il conto salato dell'incompetenza europea
Non si tratta di una pausa fisiologica, ma di uno stop che ha tutte le caratteristiche di una resa definitiva. Il silenzio nelle catene di montaggio tedesche non è un fatto di cronaca locale, ma il sintomo più evidente di un organismo, quello industriale europeo, che sta smettendo di respirare.
La data del 16 dicembre 2025 rischia di passare alla storia come il giorno in cui la "locomotiva d'Europa" si è fermata per sempre, trascinando con sé l'indotto di tutto il continente, Italia compresa. Ma attribuire questo crollo alla sfortuna o alle sole dinamiche di mercato sarebbe un errore fatale. Siamo di fronte al risultato tangibile di una gestione politica, a Bruxelles e a Berlino, totalmente scollegata dalla realtà.
IL FALLIMENTO DELLA PIANIFICAZIONE EUROPEA
L'attuale disastro è figlio di una mancata analisi dei costi-benefici da parte delle istituzioni europee. La gestione della transizione industriale, in particolare quella verso l'elettrico, si è rivelata una trappola. Le istituzioni UE hanno imposto scadenze dogmatiche (come il 2035 per lo stop ai motori termici) senza considerare la fattibilità economica e tecnica. Il risultato è un paradosso: le auto elettriche europee costano troppo e i consumatori, quando possono, virano sulle alternative cinesi, più economiche e tecnologicamente avanzate.
Oggi, la Commissione Europea tenta maldestre retromarce, ma il danno strutturale è fatto. Volkswagen, costretta a investire miliardi in una tecnologia imposta politicamente mentre deve mantenere in vita i motori tradizionali, ha visto i suoi piani di investimento crollare: dai 200 miliardi previsti per il futuro, si è scesi a 60. Due terzi della capacità di innovazione sono andati in fumo.
GUERRA COMMERCIALE E INCOMPETENZA DIPLOMATICA
A peggiorare il quadro c'è una gestione geopolitica dilettantesca. L'industria dell'auto è stata messa all'angolo da tre fronti: la Cina non acquista più auto europee preferendo quelle locali; il mercato interno è fermo per l'inflazione; gli Stati Uniti alzano barriere doganali.
Ma il colpo di grazia è arrivato dall'Europa stessa. Il caso "Nexperia" è emblematico di questa schizofrenia decisionale: l'Olanda ha sequestrato un'azienda di semiconduttori di proprietà cinese citando la sicurezza nazionale. La risposta di Pechino è stata immediata e prevedibile: il taglio delle forniture di chip. Senza questi componenti, che arrivano tramite fornitori di primo livello, le fabbriche si fermano. È la dimostrazione di come si prendano decisioni di politica estera senza valutarne l'impatto immediato sulla catena di approvvigionamento industriale.
IL COSTO SOCIALE: FAMIGLIE IMPREPARATE AL DISASTRO
Mentre la politica discute di massimi sistemi, la realtà presenta il conto. Il direttore finanziario di Volkswagen ha annunciato la necessità di tagliare le spese operative. Tradotto: licenziamenti. C'è già un accordo per eliminare 35.000 posti di lavoro entro la fine del decennio.
Non si parla solo di operai tedeschi. L'industria dell'auto è un sistema interconnesso. Se Volkswagen si ferma, tremano i fornitori in Italia, Francia e nell'Est Europa. Sono a rischio milioni di famiglie che non hanno alcuna responsabilità in questo disastro e che si troveranno ad affrontare una tragedia economica senza precedenti, del tutto impreparate. L'indotto fatto di piccole imprese, servizi, ristorazione e logistica verrà travolto da un effetto domino devastante.
LE RESPONSABILITÀ POLITICHE
La trasformazione della fabbrica di Dresda in un centro di ricerca per l'intelligenza artificiale viene venduta come un'evoluzione, ma nei fatti è un tentativo disperato di salvare il salvabile tagliando la manodopera. Nel frattempo, la Cina sta strategicamente spostando i suoi investimenti lontano da un'Europa considerata inaffidabile, dirigendosi verso Asia, Africa e Sud America.
L'Europa, alienando i partner commerciali e cedendo alle pressioni esterne senza una strategia autonoma, si sta condannando all'oblio industriale. È evidente che chi ha gestito le politiche industriali ed energetiche dell'Unione Europea fino a oggi ha fallito.
Non c'è più spazio per la retorica. È necessario prendere atto della realtà: il tessuto produttivo si sta disgregando. L'unica via d'uscita è un cambio radicale di rotta e, soprattutto, la rimozione immediata dagli incarichi di quei responsabili politici che, per incompetenza o cecità ideologica, stanno gestendo abusivamente il futuro economico del continente. Se non si agisce ora, il silenzio di Dresda diventerà il silenzio dell'Europa intera.