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L’ISTAT E L'ILLUSIONE DELLA SPESA STABILE

 
L’ISTAT E L'ILLUSIONE DELLA SPESA STABILE
di Luca Lippi

La spesa media delle famiglie italiane è ferma a 2.755 euro al mese, ma è una stabilità che inganna. Dietro questo numero, il nuovo report Istat 2024 svela una realtà fatta di equilibri precari e sacrifici quotidiani: l'inflazione degli ultimi anni ha eroso il potere d'acquisto, costringendo oggi una famiglia su tre a tagliare sulla quantità o sulla qualità del cibo. Una fotografia che, al di là delle medie nazionali, mette a nudo le profonde disuguaglianze del Paese e la lotta silenziosa di milioni di persone per arrivare a fine mese.

L’INFLAZIONE PESA SUL POTERE D’ACQUISTO

Per il secondo anno consecutivo, la spesa delle famiglie si mantiene a un livello significativamente superiore a quello pre-pandemico (era di 2.561 euro nel 2019). Tuttavia, questo aumento nominale del 7,6 per cento in cinque anni è un dato che, da solo, può trarre in inganno. Va infatti letto alla luce del vero protagonista dell'economia recente: l'inflazione. Nello stesso arco temporale, l'Indice Armonizzato dei Prezzi al Consumo (IPCA) ha registrato un'impennata del 18,5 per cento
La conseguenza è una chiara e tangibile erosione del potere d'acquisto: le famiglie, pur spendendo di più in valore assoluto, possono acquistare meno beni e servizi rispetto al passato. La stabilità dei consumi non è quindi un segnale di tranquillità economica, ma piuttosto il risultato di un'attenta gestione delle risorse e di inevitabili rinunce.

LE SOLITE DISUGUAGLIANZE

L'analisi dei dati Istat conferma e approfondisce le storiche disuguaglianze che attraversano l'Italia. Il divario territoriale rimane una ferita aperta: tra la spesa media del Nord-est, la più alta del Paese, e quella del Sud, la più bassa, si registra una differenza abissale del 37,9 per cento. Questo scarto non è solo un numero, ma lo specchio di due Italie che viaggiano a velocità diverse in termini di reddito, opportunità e accesso ai servizi.
Parallelamente, emerge un significativo divario legato alla cittadinanza. Le famiglie composte esclusivamente da italiani mantengono una capacità di spesa media superiore di quasi un terzo (+31,8 per cento) rispetto a quella delle famiglie in cui è presente almeno un componente straniero. Un dato che riflette le complesse dinamiche di integrazione economica e le diverse posizioni occupazionali nel mercato del lavoro.

ATTACCO AL CARRELLO DELLA SPESA

La spesa non alimentare, che costituisce l'80,7 per cento del totale (2.222 euro mensili), mostra una stabilità diffusa in quasi tutti i settori. Tuttavia, due tendenze opposte meritano attenzione:
In crescita: i servizi di ristorazione e alloggio segnano un aumento del +4,1 per cento (162 euro mensili). Questo dato prosegue la lenta ripresa post-pandemica, sebbene con un ritmo molto più contenuto rispetto al balzo del 16,5 per cento registrato nel 2023. La voglia di socialità e di ritorno alla normalità spinge questi consumi, con una crescita particolarmente vivace nel Centro Italia (+7,2 per cento).
In calo: le spese per informazione e comunicazione diminuiscono del 2,3 per cento, un segnale che potrebbe indicare una saturazione del mercato o la ricerca di risparmi su abbonamenti e servizi ritenuti meno essenziali.
Di particolare interesse è la gestione della spesa alimentare. Nonostante i prezzi del cibo siano nuovamente aumentati (+2,5 per cento su base annua), le famiglie sono riuscite a mantenere stabile il budget dedicato a questa voce. Questo equilibrio è stato raggiunto, come detto, attraverso strategie di contenimento: il 31,1 per cento degli italiani dichiara di aver limitato gli acquisti di cibo, una percentuale quasi identica a quella del 2023 (31,5 per cento). All'interno di questa stabilità forzata, si notano però rincari specifici che hanno inciso sul budget, come quelli per oli e grassi (+11,7 per cento) e per la frutta (+2,7 per cento).

CONCLUSIONE

Il report Istat 2024 ci consegna l'immagine di un'Italia che arriva a fine mese a fatica, dove la stabilità dei consumi è più un esercizio di equilibrio sul filo del potere d'acquisto eroso dall'inflazione che un indicatore di benessere diffuso.