Nel 2023 oltre 94 milioni di cittadini europei a rischio povertà o esclusione sociale. In Italia la quota sfiora il 26%, con forti squilibri territoriali e un allarme che riguarda giovani e famiglie numerose.
Nel cuore dell’Unione Europea del benessere, la povertà resta una ferita aperta.
I dati diffusi da Eurostat attraverso l’indagine EU-SILC 2023 (Statistics on Income and Living Conditions) delineano un quadro in chiaroscuro: 21,4% della popolazione europea — circa 94,6 milioni di persone — vive in condizioni di rischio di povertà o esclusione sociale (AROPE).
Un lieve miglioramento rispetto al 22% registrato l’anno precedente, ma ancora troppo poco per parlare di vera inversione di tendenza.
Il tasso di persone a rischio di povertà basato sul reddito disponibile resta al 16,2%, segno che le politiche redistributive e i sostegni economici introdotti in diversi Stati membri non sono ancora sufficienti a colmare le disuguaglianze.
E se il Nord Europa consolida la sua posizione di “area protetta” grazie a sistemi di welfare robusti, l’Europa mediterranea continua a pagare un prezzo elevato, con punte critiche proprio in Italia, Grecia, Spagna e Romania.
Italia, la forbice sociale si allarga
Nel nostro Paese, secondo le elaborazioni su dati EU-SILC 2023, oltre un quarto della popolazione (circa il 26%) è a rischio povertà o esclusione sociale.
Il dato peggiora nel Mezzogiorno, dove il tasso supera il 35%, mentre al Nord scende sotto il 17%.
Una disuguaglianza geografica che si traduce in un divario di opportunità, qualità del lavoro e accesso ai servizi essenziali.
Il rischio di povertà relativa, misurato rispetto al reddito mediano nazionale, colpisce soprattutto famiglie con figli e giovani adulti tra i 18 e i 34 anni, fascia che continua a soffrire la precarietà lavorativa e la difficoltà di accesso a un’abitazione stabile.
Al contrario, gli anziani beneficiano di un sistema pensionistico che, pur sotto pressione, continua a garantire un reddito minimo più stabile.
L’indice di deprivazione materiale e sociale severa, che misura l’impossibilità di permettersi beni e servizi essenziali (come riscaldamento adeguato, pasti proteici regolari, accesso alle cure), tocca in Italia il 10,7%, contro una media UE del 12,3%.
Un dato che mostra una parziale tenuta, ma non nasconde il problema strutturale: in molte regioni italiane la povertà non è più emergenza, bensì condizione stabile e intergenerazionale.
Europa divisa tra benessere e fragilità
A livello europeo, i dati EU-SILC segnalano un doppio binario:
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i Paesi scandinavi (Danimarca, Finlandia, Svezia) restano sotto il 15% di popolazione a rischio;
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quelli dell’Europa meridionale e orientale oscillano tra il 25% e il 33%.
Secondo Eurostat, i trasferimenti sociali – assegni familiari, sussidi di disoccupazione, redditi minimi garantiti – riducono mediamente di 8 punti percentuali il rischio di povertà nell’UE. In Italia, però, l’impatto redistributivo si ferma a meno di 5 punti, tra i valori più bassi d’Europa.
Una differenza che testimonia la fragilità del sistema di welfare nazionale, frammentato e spesso inefficace nel raggiungere le fasce realmente vulnerabili.
Il nodo della trasmissione della povertà
L’edizione 2023 dell’indagine EU-SILC introduce anche un modulo sulla trasmissione intergenerazionale degli svantaggi, che fotografa come la povertà si trasmetta da una generazione all’altra.
Secondo i primi dati, chi cresce in famiglie con genitori disoccupati o a basso reddito ha fino a quattro volte più probabilità di trovarsi in condizione di esclusione sociale da adulto.
Un effetto domino che mette in discussione la promessa di mobilità sociale su cui si fonda l’idea stessa di Europa solidale.
“Non basta creare lavoro: serve creare opportunità”, sottolineano da Bruxelles gli analisti di Eurostat, evidenziando come istruzione, formazione professionale e accesso ai servizi sociali restino i veri indicatori di resilienza economica.
Prospettive
Il leggero miglioramento registrato nel 2023 non deve trarre in inganno: la povertà in Europa è cambiata volto, diventando più diffusa anche tra chi lavora.
L’aumento del costo della vita, l’inflazione energetica e la precarietà occupazionale hanno creato una nuova categoria di cittadini: i cosiddetti “working poor”, persone che pur avendo un impiego vivono sotto la soglia di povertà.
L’Italia, in particolare, paga la lentezza delle riforme strutturali e l’assenza di un piano nazionale di inclusione stabile dopo l’abolizione del Reddito di cittadinanza.
Senza interventi mirati su formazione, retribuzioni e servizi territoriali, la forbice sociale rischia di ampliarsi ancora.
Il dato Eurostat 2023 rappresenta dunque un campanello d’allarme e, al tempo stesso, una bussola: misurare le disuguaglianze significa capire dove intervenire.
Perché un’Europa davvero coesa non si giudica dal PIL, ma dal numero di persone che riesce a liberare dalla povertà.