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Riscatto laurea: la pensione dei ricchi pagata dai poveri

 
Riscatto laurea: la pensione dei ricchi pagata dai poveri
Luca Lippi

Negli ultimi giorni il dibattito pubblico è tornato a infiammarsi su un tema che tocca da vicino le speranze di migliaia di professionisti e il futuro previdenziale del Paese: il riscatto della laurea.
Si discute di tagli, di restrizioni, di "diritti acquisiti" e di marce indietro repentine della politica. Eppure, se proviamo a sollevare il velo della propaganda e delle narrazioni di parte, ci accorgiamo che la questione non è una battaglia di ideali, ma una molto più pragmatica questione di portafoglio.

Riscatto laurea: la pensione dei ricchi pagata dai poveri

Per capire davvero cosa sia il riscatto della laurea, dobbiamo immaginarlo come una sorta di "macchina del tempo" che lo Stato mette in vendita: pagando una cifra oggi, è possibile trasformare gli anni passati sui libri in anni di lavoro effettivo, permettendoci di andare in pensione prima.

Sulla carta, sembra un’opportunità di giustizia per chi ha iniziato a lavorare più tardi a causa degli studi. Ma la realtà è più complessa. Per comprendere come viene calcolato questo "prezzo del tempo", dobbiamo distinguere tra chi rientra nel vecchio sistema retributivo e chi in quello contributivo.

Nel secondo caso, quello che riguarda la maggior parte dei lavoratori odierni, il costo si calcola applicando una percentuale (solitamente il 33 per cento) sullo stipendio dell'ultimo anno. Ed è qui che iniziano le prime distorsioni. Immaginiamo un lavoratore che sta per ottenere una promozione importante o un salto di carriera: per lui, riscattare la laurea l'anno prima dello scatto di stipendio è un affare colossale. Paga il riscatto basandosi su una busta paga "bassa" per ottenere poi una pensione che sarà calcolata su redditi molto più alti. È un meccanismo di arbitraggio che premia chi sa muoversi tra le pieghe della burocrazia, più che chi ne ha realmente bisogno.

IL PARADOSSO DEL FISCO E IL PREMIO A CHI HA DI PIÙ
Ma il paradosso più profondo risiede nella natura fiscale di questo strumento. Il riscatto della laurea è interamente deducibile dalle tasse.
Per i non esperti, questo significa che i soldi versati per il riscatto vengono sottratti dal reddito su cui si pagano le tasse (l’IRPEF). Poiché in Italia chi guadagna di più paga percentuali di tasse più alte, accade che lo Stato faccia uno "sconto" molto più generoso a chi ha un reddito elevato rispetto a chi guadagna meno. In parole povere: se un dirigente e un impiegato decidono di riscattare la laurea, lo Stato restituirà proporzionalmente molti più soldi al dirigente. Lo strumento nasce per premiare il merito dello studio, ma finisce per essere profondamente regressivo, avvantaggiando chi è già in una posizione economica solida.

C'è poi un elemento quasi invisibile, che raramente emerge nei talk show: la speranza di vita. I dati statistici ci dicono con chiarezza che chi possiede un titolo di studio elevato e un reddito alto tende a vivere, in media, fino a cinque anni in più rispetto a chi svolge lavori logoranti o manuali. Poiché la nostra pensione viene calcolata su una media statistica nazionale, il laureato benestante riceverà l'assegno pensionistico per molti più anni di quanto il sistema abbia previsto. Se a questo aggiungiamo che il riscatto gli permette di smettere di lavorare prima, il cerchio si chiude: stiamo finanziando un’uscita anticipata a chi, statisticamente, peserà di più e più a lungo sulle casse pubbliche.

OLTRE LA PROPAGANDA: LA NECESSITÀ DI FARE CASSA

A questo punto sorge spontanea una domanda: perché la politica, di ogni colore e schieramento, fatica così tanto a riformare o eliminare un istituto che crea palesi iniquità? La risposta è cinica ma semplice: l'INPS ha bisogno di ossigeno. Il nostro sistema pensionistico non è un salvadanaio dove i nostri soldi crescono nel tempo, ma un sistema "a ripartizione".
I contributi che versiamo oggi servono a pagare le pensioni di chi è già a riposo. In un’Italia che invecchia e dove le nascite sono ai minimi storici, le casse dell’INPS sono asfittiche e il bilancio è perennemente in affanno. Il riscatto della laurea, visto da questa prospettiva, non è una misura di welfare per i giovani, ma una boccata d'aria immediata per i conti dello Stato: sono miliardi di euro "freschi" che entrano subito nel sistema per coprire i buchi del presente.
Nessun governo, che sia di destra, di sinistra o tecnico, ha davvero interesse a chiudere questo rubinetto. Non è una questione di "bandiera" politica o di difesa della cultura; è la necessità di fare cassa nel breve periodo, ignorando deliberatamente il fatto che ogni anno di riscatto venduto oggi è un debito pesante che carichiamo sulle spalle delle generazioni future.

IL PESO SULLE GENERAZIONI DI DOMANI

In questo scenario, il riscatto della laurea smette di essere uno strumento di previdenza e diventa un sintomo della miopia del nostro sistema. Stiamo chiedendo ai lavoratori di domani, spesso precari o con carriere discontinue, di finanziare l'uscita anticipata di chi oggi può permettersi di "comprare" il proprio tempo grazie a una posizione di vantaggio.
Invece di incentivare i fondi pensione privati o investire quei capitali nel mercato dei capitali - dove potrebbero alimentare startup e imprese capaci di generare crescita e salari più alti per tutti - preferiamo convogliare la liquidità dei cittadini in un buco nero contabile. Finché la narrazione politica continuerà a parlare di "diritti acquisiti" per nascondere la ricerca disperata di liquidità, rimarremo prigionieri di un meccanismo che premia chi ha già di più, scaricando il conto finale su chi non ha ancora iniziato a giocare la partita del proprio futuro.