Secondo Eurostat, dal 2008 al 2024 il reddito reale delle famiglie italiane è sceso del 4%, mentre nel resto d’Europa è cresciuto. Peggio dell’Italia solo la Grecia. Crescono i lavoratori poveri e si allarga la frattura sociale.
In Italia, negli ultimi sedici anni, i redditi reali – cioè i redditi corretti tenendo conto dell’inflazione, quindi del reale potere d’acquisto – sono diminuiti del 4 per cento.
Un dato pesante, che ci pone in fondo alla classifica europea: peggio di noi ha fatto solo la Grecia. Tutti gli altri Paesi dell’Unione, invece, hanno visto crescere il reddito reale delle famiglie.
I NUMERI DI EUROSTAT: UN CONFRONTO IMPIETOSO
A fotografare la situazione è Eurostat, l’istituto di statistica dell’Unione Europea, che ha pubblicato un rapporto dettagliato sull’andamento dei redditi dal 2008 al 2024.
Secondo lo studio, se nel 2008 il reddito reale medio delle famiglie italiane valeva “100”, nel 2024 è sceso a “96”.
In altre parole, in sedici anni il potere d’acquisto degli italiani si è ridotto del 4%.
Il confronto con gli altri Paesi è impietoso:
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nella zona euro il reddito reale medio è aumentato del 9,4%;
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nell’intera Unione Europea la crescita è stata del 14,3%;
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in Germania i redditi reali sono saliti del 16%;
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in Francia del 13%;
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in Spagna del 4%.
Solo la Grecia ha fatto peggio di noi.
SEDICI ANNI DIFFICILI: DALLE CRISI ALLA PANDEMIA
Il declino italiano non è stato improvviso, ma il risultato di una lunga serie di crisi economiche e politiche.
Dopo la grande crisi del 2008, l’Italia ha subito più di altri Paesi gli effetti del crollo dei mercati e della successiva crisi del debito europeo.
Nel 2011, con l’arrivo del governo tecnico di Mario Monti, le misure di austerità – necessarie per ridurre il debito pubblico – hanno però fatto crollare i redditi reali: nel 2013 il valore è sceso fino a 88,7, cioè oltre l’11% in meno rispetto al 2008.
Negli anni successivi c’è stata una lenta ripresa: nel 2019 il reddito reale era tornato a 93, ma la pandemia del 2020 ha riportato tutto indietro, fino a quota 90,5.
Solo nel 2021 si è vista una risalita, con un valore di 94, per poi stabilizzarsi negli ultimi tre anni intorno a 96.
In pratica, oggi gli italiani guadagnano meno di quanto guadagnavano sedici anni fa, una volta tolto l’effetto dell’inflazione.
CHI LAVORA MA RESTA POVERO
C’è però un altro dato che rende il quadro ancora più allarmante: in Italia il 10,2% dei lavoratori è povero, cioè nonostante abbia un impiego, non riesce a mantenersi o a far fronte alle spese di base.
È un valore in crescita – era al 9,9% nel 2023 – e nettamente superiore a quello di altri Paesi: 8,3% in Francia e 6,5% in Germania.
Le cause sono diverse: contratti precari, salari bassi, costo della vita in aumento, ma anche profondi cambiamenti sociali.
Oggi in Italia quasi il 38% delle famiglie è composto da una sola persona, e vivere da soli – soprattutto nelle grandi città – significa spesso non riuscire a sostenere tutte le spese con un solo reddito.
Le famiglie con figli rappresentano appena un terzo del totale, mentre quelle numerose sono ormai rarissime: solo l’1,2% ha più di quattro figli.
UN MODELLO ECONOMICO CHE NON REGGE PIÙ
Il quadro tracciato da Eurostat mostra un Paese dove il lavoro non basta più per garantire sicurezza economica e dove il potere d’acquisto delle famiglie si è eroso anno dopo anno.
Le difficoltà non derivano solo dall’euro o dalle scelte politiche europee, ma anche da problemi strutturali interni: bassa produttività, scarsa crescita dei salari e un costo della vita sempre più alto nelle aree urbane.
CONCLUSIONE
L’Italia è riuscita a resistere a crisi globali, pandemie e scosse finanziarie, ma a un prezzo elevato: quello di redditi stagnanti e nuove povertà.
Oggi più che mai serve una strategia per rilanciare il potere d’acquisto e sostenere chi, pur lavorando, non ce la fa.
Perché se l’unico conforto resta “aver fatto meglio solo della Grecia”, vuol dire che qualcosa, nel modello economico, va profondamente ripensato.