La recente attenzione mediatica attorno al fenomeno della violenza ostetrica, definita come una forma di abuso fisico, verbale o emotivo nei confronti della donna durante il percorso nascita, apre una inquietante correlazione con la drammatica tendenza al calo della natalità in Italia. Sebbene non sia possibile stabilire un nesso causale diretto, l’analisi dei dati e delle ricerche suggerisce che quel che accade nella sala parto può avere effetti anche sul desiderio di diventare genitori, sul vissuto post-partum e, in ultima analisi, sulla demografia del Paese.
Cos’è la violenza ostetrica
Il termine “violenza ostetrica” viene utilizzato per descrivere un insieme di pratiche e comportamenti che ledono la dignità, l’integrità fisica o la libertà di scelta della donna nel percorso nascita, includendo gravidanza, parto e puerperio.
Si va, per esempio, da un’episiotomia effettuata senza anestesia, a pratiche mediche imposte senza consenso, a linguaggio offensivo del personale sanitario.
Gli studi evidenziano come la violenza ostetrica sia una forma di violenza di genere strutturale, intrecciata con la medicalizzazione del parto e con dinamiche di potere tra operatrici/operatrici sanitarie e partorienti.
Quali dati in Italia?
Un’indagine del 2017 condotta da Doxa per l’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica Italia (OVOItalia) ha stimato che circa il 21% delle donne italiane ha dichiarato di aver subito una forma di violenza ostetrica.
Fonti più recenti riportano percentuali ben più elevate: un articolo del dicembre 2024 indica che il 76,2% delle donne intervistate ha riferito di aver subito almeno una forma di violenza ostetrica.
Ulteriori studi segnalano che tra le donne che hanno vissuto queste esperienze, una parte ha deliberatamente scelto di non avere ulteriori figli a seguito del trauma. Nel dettaglio: il 6% di una coorte ha dichiarato che non avrebbe avuto un altro figlio proprio per evitare esperienze analoghe.
Il contesto della natalità in Italia
L’analisi demografica dell’Istat e di altri enti internazionali evidenzia un quadro assai critico:
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Nel 2024 in Italia sono stati registrati circa 370.000 nuovi nati, il numero più basso dall’Unità d’Italia e con un calo del 2,6% rispetto all’anno precedente.
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Il tasso di fecondità totale è sceso a 1,18 figli per donna, ben al di sotto della soglia di sostituzione generazionale (2,1).
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Il numero di nascite in diminuzione si ripete da oltre dieci anni: nel 2023 l’Italia ha registrato circa 379.890 nati, con un calo del 3,4% rispetto al 2022.
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La politica demografica italiana è dunque caratterizzata da una “trappola” della bassa fecondità, in cui fattori economici, sociali, culturali e anche – potenzialmente – esperienze negative nel parto giocano un ruolo.
Collegamenti tra violenza ostetrica e calo delle nascite
Sebbene la violenza ostetrica non sia l’unico né forse il fattore principale della crisi delle nascite, vi sono passaggi logici che meritano attenzione:
Trauma del parto e rifiuto della genitorialità
Le donne che vivono esperienze traumatiche in sala parto possono decidere di non avere altri figli. Questo effetto, seppur quantitativamente limitato rispetto alla popolazione generale, è significativo nella misura in cui si inserisce in un contesto già segnato da forte riduzione delle nascite.
Qualità dell’assistenza e fiducia nel sistema
Un’assistenza percepita come irrispettosa o traumatizzante può erodere la fiducia verso il sistema sanitario e verso l’idea stessa della maternità come momento valorizzato e protetto. La percezione di un “incubo” anziché di un momento di gioia può contribuire a rimandare o a rinunciare alla nascita.
Effetto moltiplicatore sociale e culturale
Le esperienze negative, raccontate e diffuse, contribuiscono a un clima culturale in cui avere figli viene percepito come meno desiderabile, più rischioso e più gravoso. In un’Italia già alle prese con precarietà economica, lavoro femminile poco tutelato e carenza di servizi per la famiglia, questo fattore aggiuntivo, pur non misurabile con precisione, agisce come deterrente.
Perché la violenza ostetrica persiste
Le radici del fenomeno sono molteplici:
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Approccio assistenziale ancora fortemente medicalizzato, che privilegia la procedura rispetto alla relazione, in particolare nel Sud Europa.
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Ritmi di lavoro e carico assistenziale elevati nelle strutture sanitarie, che riducono la capacità di accogliere e accompagnare la donna in modo personalizzato.
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Mancanza di formazione specifica e sensibilizzazione al tema della dignità della partoriente e del consenso informato.
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Deficit di registrazione e monitoraggio: molte esperienze non entrano nelle statistiche ufficiali per via della reticenza, della difficoltà di definire “violenza ostetrica” in termini legali e della resistenza culturale.
Implicazioni e riflessioni
Il legame tra violenza ostetrica e calo delle nascite suggerisce che la risposta al problema demografico italiano non possa limitarsi a bonus, incentivi o misure economiche. Serve anche una rivoluzione culturale e assistenziale che metta al centro la dignità della donna, la qualità dell’assistenza, il diritto a un parto sicuro e rispettoso.
Se una parte delle donne viene privata della fiducia nella maternità come esperienza valorizzata, è plausibile che l’intera società, già fragile, ne risenta.
Inoltre, la situazione demografica italiana rende l’urgenza ancora più grave: una popolazione che invecchia, un tasso di natalità ridotto e un numero di donne in età fertile in diminuzione fanno sì che ogni causa di minor desiderio di figli acquisti peso.
Cosa si può fare
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Rafforzare la formazione di ostetriche, ginecologi e operatori sanitari su modalità rispettose, consenso informato e comunicazione empatica.
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Promuovere la umanizzazione del parto, favorendo l’accompagnamento, la presenza della persona di fiducia e l’informazione chiara e condivisa.
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Monitorare sistematicamente la qualità dell’assistenza al parto e raccogliere dati sulle esperienze negative per intervenire.
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Integrare le politiche per la natalità con politiche sanitarie orientate al benessere della donna, alla sicurezza e al rispetto.
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Sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sulla violenza ostetrica come questione di diritti umani e salute pubblica.
In un Paese come l’Italia, dove la natalità è ai minimi storici e la popolazione continua a contrarsi, è urgente considerare anche i fattori meno visibili nei tradizionali dibattiti demografici.
La violenza ostetrica, con le sue implicazioni sulla salute, sulla fiducia e sul desiderio di genitorialità, emerge come un elemento che richiede attenzione, ricerca e intervento.
Parlare di “aumentare le nascite” non può escludere l’obiettivo parallelo di garantire che il parto e la maternità siano vissuti come esperienze positive, sicure, rispettose e desiderate.
Solo così si può sperare che le donne italiane tornino a scegliere la maternità in un contesto che la celebra, la protegge e la valorizza.