FOTO: Alberto Macaluso - CC BY-SA 2.0
Quanto improbo è il compito di Maurizio Crozza e del suo nutritissimo stuolo di autori per mettere su, ogni venerdì, uno spettacolo - che vai in onda sul Nove - che si regge sulla satira.
O almeno quello che resta della satira che ormai, in Italia (dove il Saturday Nigth Live, per motivi ''antropologici'', non potrebbe essere replicato, seppure c'è stato chi ha tentato di imitarlo, ma con scarsa fortuna) , non ha più ragione d'essere perché superata dalla realtà.
Tele-incursioni - Salvate il soldato Crozza dall'impresa di fare satira, ormai superata dalla realtà
E se si sa che se gli originali fanno ridere più di chi li imita, significa che bisogna pensare ad altro.
Lo conferma ''Fratelli di Crozza'', uno spettacolo che ha avuto la sua origine su La7 per poi trasmigrare su un canale inizialmente frequentato da chi amava altre cose, ma che, ingaggiando dei ''pesi massimi'', come l'attore genovese, s'è ritagliato il suo spazio.
Dico ''attore'' a buon motivo - sempre per come la vedo io - perché Maurizio Crozza, sul palcoscenico, dimostra il suo spessore artistico. Questo perché, a differenza di molti altri, lui alla satira c'è arrivato forte di una robusta impostazione attoriale, facendo il percorso inverso di quelli che, forti di un successo che spesso è effimero, passano alla recitazione, con risultati spesso imbarazzanti.
''Fratelli di Crozza'', negli anni, ha però perso la sua capacità d'impatto non perché Crozza abbia imboccato, televisivamente parlando, una parabola discendente, ma solo in quanto la realtà ormai propone quotidianamente il peggio dei personaggi che lui interpreta, certo caricandone taluni aspetti (la parlata romanesca di Giorgia Meloni e il suo vezzo di umettarsi le labbra con la lingua; la fissità da gipsoteca di Antonio Tajani; la presunzione, frammista ad una altissima considerazione di sé stesso, di Vincenzo De Luca; la apparente bonomia di Luca Zaia, elevato a maschera regionale; l'incerta grammatica di Antonio Razzi; i surreali video di Red Ronnie, sempre pronto a cavalcare tesi complottistiche, e, new entry, il linguaggio creativo di Adolfo Urso) , ma con l'effetto di non toccare i picchi umoristici degli originali.
Maurizio Crozza ha reinventato le imitazioni, allontanandosi dai modelli di molti anni fa (Alighiero Noschese, su tutti, con i molti scoloriti epigoni), non limitandosi a copiarne parlata e atteggiamenti, ma dando loro una colorazione diversa, calcando sui tic e sulle esagerazioni, facendone insomma personaggi ulteriori e forse anche diversi.
Ma la mancanza di nuovi modelli sui quali infierire si comincia ad avvertire e anche la penuria di spunti per evitare la reiterazione dei tratti da macchietta. Anche perché vedere zompettare per il palco il nostro vicepremier, nonché ministro degli Esteri e quindi capo della diplomazia italiana, rende lo spadone della satira un pezzetto di stagnola.
Perché l'originale muove a risata più di qualsiasi altra interpretazione. Certo, resta la realtà a fare da canovaccio, ma anche questa sembra andare ad una velocità diversa rispetto a quelli che su di essa cercano di costruirci uno spettacolo.