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Italia, 1.860 miliardi fermi sui conti: il paradosso che blocca investimenti e crescita

 
Italia, 1.860 miliardi fermi sui conti: il paradosso che blocca investimenti e crescita
di Luca Lippi

Un'analisi recente dei flussi finanziari in Italia rivela uno scenario economico che si potrebbe definire paradossale. Secondo i dati appena diffusi dall’Associazione Bancaria Italiana (Abi), i conti correnti nel nostro Paese sono colmi come mai prima d'ora. Nel mese di novembre 2025, il denaro depositato ha raggiunto un livello record, toccando il punto più alto degli ultimi cinque anni e superando persino le cifre accumulate nel periodo immediatamente successivo alla pandemia. Si parla di una cifra colossale, pari a 1.860 miliardi di euro, che famiglie e imprese hanno deciso di affidare agli istituti di credito invece di spendere o investire. Questa tendenza all'accumulo è iniziata nel 2024 e ha mostrato un'accelerazione notevole proprio negli ultimi mesi, con una crescita dei depositi del 2,7 per cento a ottobre e di un ulteriore 2,4 per cento a novembre.

IL COSTO DELL'INCERTEZZA


È fondamentale comprendere cosa comporti lasciare queste somme ferme in banca. L'Abi segnala che il tasso di interesse medio, ovvero il "premio" che la banca riconosce a chi deposita il denaro, è rimasto stabile allo 0,28 per cento. Si tratta di una percentuale estremamente bassa, che di fatto si traduce in un guadagno quasi nullo per la stragrande maggioranza delle famiglie che detengono cifre comuni, come cinque o diecimila euro. Tuttavia, questo accumulo di liquidità è il sintomo evidente di una generale incertezza che paralizza il Paese. Le conseguenze di questo "parcheggio" di denaro sono chiare: se i soldi restano fermi, i consumi non ripartono e, soprattutto, non si fanno investimenti. Questa dinamica si inserisce in un quadro sociale complesso, dove convivono un aumento della povertà e una crescita dell'occupazione, che però genera redditi spesso accantonati per paura del futuro. Lo stesso atteggiamento difensivo si riscontra nel mondo delle imprese, che detengono circa un quarto di quei 1.860 miliardi totali. Nel corso del 2024, le aziende hanno preferito mantenere la liquidità in cassa piuttosto che spenderla per acquistare nuovi macchinari, frenate anche dalle complicazioni burocratiche di "Transizione 5.0", il piano statale di incentivi diventato un vero tormentone per le sue lungaggini.

LA MANCANZA DI CULTURA FINANZIARIA


Su questo punto è intervenuto Marco Mazzucchelli, banchiere internazionale, che legge in questi dati la conferma di una scarsa educazione finanziaria nel nostro Paese. Secondo l'esperto, gli italiani continuano a parlare di "risparmio" inteso come semplice accantonamento, invece che di "investimento", che significa far fruttare il capitale. Questa mentalità conservatrice porta a un risultato nefasto: l'erosione del valore dei soldi. Mentre i mercati finanziari globali sono cresciuti a doppia cifra negli ultimi anni, garantendo rendimenti importanti, chi ha lasciato i soldi fermi sul conto ha perso un'occasione. Anche un investimento prudente avrebbe potuto generare un ritorno del 10 per cento, ma questa opportunità è stata sprecata. Anche le imprese, nota Mazzucchelli, si comportano come le famiglie: sono "cash rich", ovvero piene di liquidità, e preferiscono usare i propri soldi piuttosto che chiedere prestiti alle banche. Tuttavia, questo atteggiamento porta a un ciclo basso di investimenti proprio in un momento storico in cui la tecnologia richiederebbe un rapido rinnovamento. Le aziende italiane, agendo in modo difensivo, rischiano di risultare perdenti sul lungo periodo.

LE LEVE PER LA RIPARTENZA


Una visione critica arriva anche dal mondo industriale. Alberto Baban, imprenditore alla guida della Fondazione Nord Est, definisce il 2024 come l'anno peggiore per gli investimenti, attribuendo la colpa ai tentennamenti del governo sugli incentivi per la transizione digitale. Ora che molti bonus si stanno esaurendo, le speranze per sbloccare questi miliardi "parcheggiati" sono riposte nella nuova manovra economica di fine anno. L'attesa è tutta per il ritorno dell'iper-ammortamento, un meccanismo fiscale che permette alle aziende di scaricare dalle tasse una parte consistente dei costi sostenuti per acquistare beni tecnologici.
Infine, lo sguardo si allarga allo scenario internazionale. Baban ipotizza che un vero "booster", ovvero una spinta acceleratrice per l'economia, potrebbe arrivare dalla fine del conflitto tra Russia e Ucraina. Senza cinismo, ma con realismo economico, l'imprenditore osserva che una pace giusta potrebbe aprire la strada alla ricostruzione dell’Ucraina. Questo evento rappresenterebbe uno shock positivo per un mercato attualmente debole e avrebbe ripercussioni anche sulla manodopera, ridisegnando i flussi migratori dall'Est Europa che storicamente interessano il sistema produttivo del Nord-est italiano.